Tre lezioni dai vaccini sull’importanza della data literacy
I dati non devono per forza essere tantissimi per essere significativi, né la precisione al centesimo è garanzia di maggiore accuratezza: che cosa ci insegnano i dati sui vaccini anti-Covid
I dati sull'efficacia dei vaccini sono un interessante case history su quanto sia importante la data literacy, scrive la Harvard Business Review.
I dati, infatti, sono uno strumento che, specie nei casi in cui ci servono per prendere decisioni, deve essere maneggiato con attenzione.
Big data versus small data
In primo luogo, nota l’articolo, è opportuno soffermarsi sulla quantità dei dati disponibili: non sempre infatti quelli che ci appaiono come “big data” sono quantità di dati così ampie, ma, d’altro canto, questo non significa che non possiamo trarre delle informazioni ugualmente interessanti e sensate da insiemi più piccoli, che per facilità potremmo chiamare “small data”.
Nel caso dei vaccini, quando a inizio novembre Pifzer e BioNTech hanno annunciato che il vaccino anti-Covid era efficace in oltre il 90% dei casi, il dato era originato da test condotti su un campione di 43 mila persone. La percentuale, in realtà, è stata definita in base a numeri molto più piccoli, cioè dal rapporto tra le otto persone che nonostante il vaccino hanno avuto il Covid-19 e le 86 che erano parte del gruppo di controllo - quello a cui è stato somministrato un placebo, invece del vaccino - e che hanno contratto la malattia. Il risultato del rapporto è 0,093: se sottraiamo questo questo quoziente da 1 e lo moltiplichiamo per cento, ecco che il tasso di efficacia è del 90,7%.
Questo ci da l’idea di come i numeri importanti per definire l’efficacia, non siano tanto quelli relativi a quante persone hanno ricevuto il vaccino in fase di sperimentazione, ma quante si sono ammalate. Sono le 94 persone che hanno contratto il virus a dirci qual è il tasso di efficacia del vaccino e a dirci quindi che questo supera ampiamente il tasso del 50%, richiesto dall’Organizzazione mondiale della sanità per dichiarare efficace.
L'accuratezza è meglio della precisione
Un secondo tema su cui riflettere è il fatto che talvolta maneggiando i dati la precisione ha la meglio sull’accuratezza. Spieghiamoci meglio: alcuni giorno dopo l’annuncio di Pifzer, il Gamaleya National Research Center for Epidemiology and Microbiology di Mosca comunica che il proprio vaccino ha dimostrato un'efficacia del 92%. Moderna, invece, dichiara che il suo raggiunge un’efficacia pari al 94,5%. L’effetto di questi annunci è far pensare che siano vaccini migliori, ma in realtà questa è una considerazione difficile da dimostrare in pratica. Ha più senso - perché in tal caso useremmo dei dati più affidabili - considerare invece un intervallo di efficacia, piuttosto che singolo un dato preciso, ma meno verificabile.
Dati, ipotesi e verifica
Un altro aspetto da valutare è il modo in cui si sviluppa la fase di test, ossia se si usano i dati per confermare o smentire un’ipotesi predeterminata oppure se, al contrario, si trae un’ipotesi a partire dai dati. Se ci sono però degli errori nella raccolta e nella gestione dei dati, il rischio del secondo tipo di procedura è di trarre delle conclusioni false e quindi minare l’affidabilità delle decisioni che seguono.
La morale della storia è che i dati sono importanti per avere un quadro chiaro e oggettivo di un fenomeno, in grado di smentire eventuali nostri pregiudizi e aiutarci a prendere decisioni più informate. Al tempo stesso però dobbiamo fare attenzione a utilizzare i dati e il loro significato in modo intelligente.