Tito Faraci: ecco la cassetta degli attrezzi per un bravo sceneggiatore di fumetti
Non solo Topolino e Dylan Dog, il mondo del fumetto si è spostato anche in libreria. Ma le regole per organizzare il racconto e ragionare per immagini restano uguali, spiega Tito Faraci, docente del corso “Sceneggiatura per fumetti. Dall’idea alla proposta editoriale” di Feltrinelli Education
Il mondo del fumetto si allarga, si moltiplica, si espande su nuovi ambiti tematici e sperimentazioni, dalla graphic novel al giornalismo a fumetti. Ma la cassetta degli attrezzi di un bravo sceneggiatore di racconti per immagini e nuvolette resta sempre la stessa. Con una regola aurea: “Bisogna saper descrivere”, dice Tito Faraci, uno dei più noti sceneggiatori italiani di fumetti, curatore della collana Feltrinelli Comics e docente del corso “Sceneggiatura per fumetti. Dall’idea alla proposta editoriale” di Feltrinelli Education. “Lo sceneggiatore”, dice Faraci, “deve imparare che la cosa fondamentale non sono i dialoghi, ma avere una visione del racconto, cioè ragionare per immagini e saper descrivere”.
Tito Faraci, qual è lo stato di salute del mercato del fumetto italiano?
Negli ultimi anni c’è stata una ramificazione del mondo del fumetto che ha aperto molti spazi. Alla grande tradizione del fumetto popolare italiano, quella da edicola che va da Topolino a Diabolik, da Dylan Dog a Tex, si è unita una produzione sempre più importante di fumetti che vanno in libreria. A partire dal mercato delle graphic novel, che ha avuto una grande spinta grazie al successo di autori che sono diventati anche delle icone culturali importanti, come Zerocalcare o Gipi. C’è una vena autoriale molto forte nel fumetto popolare e una vena popolare anche nel fumetto d’autore. Sono cresciuti spazi e possibilità di raccontare storie che vanno anche fuori dalle regole dei generi, escono dai canoni e dalle regole della serialità e permettono possibilità espressive nuove, sia dal punto di vista della narrazione sia dal punto di vista grafico.
Si osserva anche un nuovo uso del fumetto per raccontare temi differenti da quelli tradizionali.
C’è un fumetto divulgativo sui temi scientifici e sta venendo fuori pure la manualistica a fumetti. Il fumetto non è un linguaggio, ma ha un linguaggio. E attraverso il linguaggio del fumetto si possono raccontare tante cose, dalle storie immaginarie alla realtà. Si può fare graphic journalism, si possono raccontare diari di bordo, come funzionano le cose o anche fare divulgazione storica-scientifica.
Questa copertura di tematiche diverse ha portato anche alla moltiplicazione delle professionalità nel settore?
L’Italia è uno dei principali centri di produzione del fumetto mondiale. C’è una scuola di sceneggiatori, disegnatori, coloristi, letteristi, editor e redattori specializzati che ha permesso al fumetto di arrivare attrezzato per poter affrontare lo sviluppo di nuove tematiche. Queste figure professionali sono state consolidate nei decenni e hanno permesso un sistema di produzione in grado di sostenere anche nuove sperimentazioni.
Qual è il rapporto del mondo del fumetto con le nuove tecnologie?
Nel fumetto, le nuove tecnologie si applicano a competenze tradizionali. Per esempio, in Italia c’è una lunga tradizione di fumetti colorati. Un tempo la colorazione avveniva a mano, oggi viene fatta una colorazione digitale molto sofisticata non solo per accelerare i lavori ma per farli meglio. Il lettering, la scrittura delle nuvolette, una volta era fatta a mano. Ora viene fatta con sistemi digitali, che però permettono anche un livello di sperimentazione molto elevato. Certo, molti disegnatori continuano a disegnare usando matite, inchiostro e pennini. Ma moltissimi usano le tavolette grafiche ottenendo effetti non minori, ma anzi potendo sperimentare tecniche innovative di efficacia e anche riuscendo a economizzare i tempi. Insomma, ci sono ruoli che sono sempre quelli tradizionali – qualcuno che scrive storie, qualcuno che le disegna, qualcuno che le colora – però le nuove tecniche hanno permesso da una parte di economizzare i tempi dall’altra di ottenere anche effetti nuovi e fare sperimentazione.
E in questo contesto, com’è cambiata la figura dello sceneggiatore di fumetti?
La sceneggiatura, di per sé, non risente delle evoluzioni tecnologiche. La cassetta degli attrezzi, il linguaggio che lo sceneggiatore utilizza, le procedure con cui organizza la progettazione di una pagina e dà indicazioni al disegnatore su campi, piani e descrizioni dei personaggi non sono mutate. E anche la proliferazione delle tematiche e delle sperimentazioni non ha modificato il lavoro dello sceneggiatore. Con la stessa identica tecnica e vocabolario, uno sceneggiatore può scrivere una storia di Topolino o una graphic novel che racconta la storia della sua famiglia. Gli strumenti sono gli stessi. Nei miei corsi racconto sempre che è come avere un’automobile: si guida sempre alla stessa maniera sia se devi fare un viaggio verso Est o Ovest, verso la montagna o verso il mare. Il viaggio decidete voi dove farlo, io fornisco un mezzo per fare questo viaggio.
Quali caratteristiche non devono mancare a un bravo sceneggiatore di fumetti?
Lo sceneggiatore deve imparare che la cosa fondamentale non sono i dialoghi, ma avere una visione del racconto, cioè ragionare per immagini e saper descrivere. Per uno scrittore si dice che scrivere non è descrivere. Uno sceneggiatore invece deve imparare a descrivere bene, deve avere la capacità di trasformare una immaginazione in parole, riuscire a trasformare delle immagini mentali in parole precise e chiare e poi in qualcosa che sia disegnato.
Sceneggiare quindi significa fare “storytelling”, un’abilità che oggi viene sempre più richiesta dal mercato.
Organizzare un racconto e organizzarlo in maniera sequenziale è proprio il lavoro di uno sceneggiatore. Lo storytelling sembra una scoperta recente, ma fa parte di una tradizione di racconto non solo del fumetto. Vuol dire saper raccontare, trasformare immagini in racconto, rappresentare anche con le parole, anziché con numeri e cifre. E questo è molto più efficace dal punto di vista comunicativo.
Quali sono i canali che può usare oggi chi vuole lavorare nel mondo del fumetto?
I canali sono rimasti quelli tradizionali. Tutte le case editrici, sia di fumetto popolare sia quelle da editoria, sono aperte anche ad autori emergenti. I canali ci sono e sono facili da trovare in rete per mandare i propri materiali. Avere un ricambio di idee e punti di vista con il reclutamento di nuove forze è rimasta una necessità vitale di chiunque produca fumetti, anche quando si è attrezzati con una squadra di autori e sceneggiatori che garantiscono una produzione costante. Certo, è difficile come è difficile introdursi in tutti gli ambienti creativi. E oggi diventare fumettista è un sogno per molti giovani, anche perché gli autori di fumetto hanno una visibilità maggiore.
Ma c’è bisogno di un aggiornamento costante per chi voglia lavorare in questo settore?
Bisogna riuscire a capire che si tratta a tutti gli effetti di un mestiere con una grossa parte di artigianato, di tecniche che bisogna imparare a utilizzare, con concretezza e fatica reale. È come essere musicisti: puoi anche improvvisare come si suona, ma lo strumento musicale devi sapere come tenerlo in mano.
La sceneggiatura è invisibile perché non è che leggendo una pagina di fumetto capisci come è stata sceneggiata. Devi capire però quali sono gli strumenti che bisogna usare. Io sono uno dei pochi che negli ultimi 20 anni si è occupato di trovare un sistema di insegnamento della sceneggiatura che possa valere per tutti i tipi di fumetti, un minimo comune denominatore tra modi di sceneggiare. Gli strumenti che cerco di fornire valgono per tutti.
Poi, una volta acquisiti questi strumenti, è utile e saggio guardarsi attorno e capire cosa si sta producendo in questo momento, visto che c’è un fiorire di proposte veramente interessanti. Il fumetto si sta sviluppando con tante ramificazioni, fusioni con stili diversi, fascinazioni da ambienti che non appartengono alla nostra cultura, su cui bisogna essere aggiornati. È importante tenere gli occhi aperti non tanto sulle tecniche, ma su come si sviluppano i linguaggi. Se si vuole scrivere, si deve anche leggere tanto. Questa è la raccomandazione.