Sviluppare nuove capability per stare nel flusso del cambiamento
Cambiamenti continui e complessità crescente possono essere lo stimolo per ripensare il modo in cui impariamo e prendiamo decisioni
Un cambiamento epocale
Siamo immersi in un mutamento epocale: il cambiamento climatico, la globalizzazione, la rivoluzione digitale, una urbanizzazione sempre più spinta, la pandemia del covid 19, l’aumento delle disuguaglianze sociali ecc. Le trasformazioni sono così rapide e profonde che producono disorientamento e paura.
Un mondo iper-connesso
Disponiamo di due gigantesche reti mondiali: quella logistica e quella digitale. La prima muove incessantemente uomini e cose intorno al mondo, mentre la seconda trasporta nel pianeta messaggi e informazioni istantaneamente. Le reti logistiche e digitali hanno consentito alle persone di cambiare il loro modo di vivere (si pensi ai voli low cost) e di relazionarsi anche a distanza. Le due reti hanno consentito alle imprese di sfruttare con grande efficacia risorse che fino ad allora erano estremamente difficili da utilizzare: la diversità dei costi e delle competenze tra i paesi del mondo, e la diversità delle conoscenze e delle informazioni in possesso delle persone. Le possibilità di ricombinare queste diversità hanno dato luogo ad un'impensabile impennata in termini di produttività. Lo scoppio della pandemia da corona virus ha reso evidente che questa iper-connessione logistica e digitale trasporta con la stessa efficienza non solo le opportunità, ma anche le minacce. Oggi, con il Covid-19 che contagia il mondo, tocchiamo con mano la sorprendente efficienza delle reti: la rete logistica, muovendo milioni di persone su scala globale, ha trasportato nel giro di qualche giorno il virus intorno al mondo, mentre la rete digitale ha trasportato con velocità anche superiore la paura.
La disconnessione
Siamo impreparati a fronteggiare la rapidità e l’ampiezza dei cambiamenti in essere. L’elaborazione di una risposta adeguata richiede lo sviluppo di un pensiero complesso, capace di pensare in modo non lineare, di evitare di ricondurre a una forzata coerenza la molteplicità e i paradossi che abbondano nella complessità, di adeguarsi ai tempi sempre più ristretti delle decisioni.
Ma per costruire abitudini mentali e sistemi sociali in grado di pensare e gestire la complessità dell’iper-connessione ci vuole tempo, ma soprattutto la consapevolezza e la volontà di farlo. Per ora la risposta che molti propongono è l’unica che sono capaci di proporre: la disconnessione.
La disconnessione è la reazione istintiva della paura. Recidere le relazioni, alzare mura, rinchiudersi entro uno spazio limitato ritenuto più controllabile. Le barriere doganali, la guerra agli immigrati, il sovranismo, la Brexit, ecc. sono tutti esempi di una voglia di disconnessione da una globalizzazione vissuta solo come minaccia.
Chiusi si muore
Ma tutti sappiamo che la disconnessione non può che essere una risposta provvisoria. Il secondo principio della termodinamica ci ricorda che “chiusi si muore”. I sistemi aperti evolvono e vivono, i sistemi chiusi declinano e muoiono. La disconnessione può essere una risposta utile solo per prendere tempo. Tempo da dare alle persone e alle organizzazioni per reagire, utilizzando i mezzi che fino ad ora si è stati in grado di mettere a punto.
Sviluppare nuove capability per rispondere alla complessità crescente
Ma cosa possiamo fare? Non possiamo ridurre la complessità del contesto in cui viviamo. Anzi la complessità del mondo economico e sociale aumenta sempre, perché continuamente generata da persone e organizzazioni al fine di aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Abbiamo una sola possibilità: aumentare le nostre capability, le nostre competenze. La semplicità della nostra azione è pari al rapporto tra le nostre capability e la complessità del mondo esterno. Siccome quest’ultima aumenta sempre, per impedire che la semplicità della nostra azione si riduca (ovvero diventi a sua volta complessa e impraticabile) dobbiamo aumentare le nostre capability. Dobbiamo continuamente sviluppare nuove conoscenze, nuove abilità, nuove competenze per trovare nuove risposte. Solo in questo modo potremmo mantenere la nostra azione e la nostra vita semplice (e felice). Non possiamo semplificare il mondo, ma possiamo aumentare le nostre capability.
Elogio dell’azione
Se vogliamo rimane aperti evitando la disconnessione, se vogliamo evolvere anziché intraprendere la via del declino, dobbiamo sviluppare nuove competenze capaci di risposte efficaci ai cambiamenti che fanno continuamente aumentare la complessità del mondo in cui viviamo. Come possiamo farlo?
Guardiamo ad esempio al Covid 19. Ad oggi non abbiamo il vaccino, non possediamo la conoscenza necessaria per risolvere il problema. Questa è una situazione classica quando si affrontano problemi complessi, come quello di cui stiamo parlando: una pandemia. La conoscenza disponibile a tavolino non è sufficiente. E allora?
Dobbiamo fare quello che abbiamo sempre fatto in assenza di conoscenza utile: ricorrere all’azione. L’azione è il fondamento della creatività umana. È lo spirito generativo che ci ha consentito di arrivare fin qui. L’esperienza dell’azione non è semplice osservazione, ma rappresenta un’attività generativa in grado di produrre una realtà inedita e generare nuove forze. La sperimentazione ha un carattere costruttivo: sperimentare significa generare artefatti e modelli. Inoltre la sperimentazione chiama in causa competenze e approcci diversi e realizza sul campo interazioni ed integrazioni altrimenti non realizzabili. Infine questa integrazione in opera non è un semplice ponte tra saperi diversi. È un intreccio che apre altri inediti campi esperienziali. È come se si determinasse una sconcertante proliferazione di attività eterogenee, tuttavia tenute insieme dal medesimo istinto generativo, l’istinto dell’azione. Sulla carta le creazioni sono potenzialmente infinite, ma l’uomo riesce a possederle concretamente solo quando le ha effettivamente costruite. È l’azione costruttiva che genera conoscenza.
Di fronte all’impasse di una soluzione che non si trova, quello che risulta possibile è l’azione, condotta con un istinto generativo che consente di sfuggire dall’impasse dell’indecidibile e fa emergere nuovi campi esperienziali, dove il problema viene riconfigurato in un contesto generato ex-novo, nell’ambito del quale – grazie alle nuove dimensioni introdotte - il problema riformulato può trovare soluzione. Una persona esperta - per contrastare la complessità dei problemi che affronta - si comporta in modo pragmatico: costruisce sempre nuove situazioni di gioco, grazie a una continua una tensione evolutiva.
Il cambiamento, più che rappresentare il risultato di un progetto coerente pianificato a tavolino, rappresenta quasi sempre il risultato emergente ed esperienziale dell’azione. Infatti solo quest’ultima è in grado di innescare una dinamica virtuosa. Essa è destinata ad entrare in interazione con altre prospettive (le azioni concorrenti); quindi è costretta ad adattarsi, migliorarsi, rettificare il tiro; infine è costretta a disinnescare l’impasse “forzando” la generazione di nuovi percorsi evolutivi. È come se l’azione implicasse sempre un aspetto esperienziale co-costruttivo.
Stare nel flusso del cambiamento grazie a nuove capacità
In ultima analisi: quali azioni intraprendere per sviluppare nuove capability e non venire sopraffatti da cambiamenti epocali e complessità crescenti? Cosa fare ad esempio come nel caso del corona virus? L’intelligenza è distribuita e ci sono molti che, in logica emergente, sono già all’opera. La soluzione sarà il risultato auto-organizzato di inter-azioni emergenti tra persone, organizzazioni, enti, centri di ricerca, stati ecc. Una azione sistemica, progressiva e pervasiva: un’autentica trasformazione. Il corona virus è avvisato: non c’è un piano, ci sono una moltitudine di inter-azioni in essere. Quelle che ci hanno fatto arrivare fin qui e ci faranno arrivare altrove.
Ringraziamo Alberto Felice De Toni per il contributo.