Storie da ascoltare: intervista a Francesca de Michele
Abbiamo chiesto a una delle più importanti esperte nell'ideazione e progettazione di contenuti audiovisivi di raccontarci la sua carriera, le evoluzioni della serialità e il futuro dei podcast in Italia.
Esperta nell’ideazione e nello sviluppo di contenuti - podcast, serie TV e documentari -, Senior Developement Executive e Creative producer per una società di produzione televisiva, Francesca de Michele è la professionista a cui ci siamo subito rivolti per il nostro corso di scrittura per i podcast.
In preparazione alle sue lezioni, le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua carriera e sulle evoluzioni e sui trend dell'audiovisivo.
Intervista a Francesca de Michele
Come è iniziata la tua carriera?
Ho iniziato a lavorare molto giovane, a vent’anni, nel cinema come ufficio stampa per diverse produzioni e distribuzioni e nel circuito dei festival internazionali. Poi sono passata alla TV, lavorando prima come consulente e poi come manager interna. Dieci anni a Sky, alle Produzioni Originali, lavorando sul doppio binario della costruzione contenuti/editoriale e dell’output di comunicazione degli scripted & unscripted. Con questo bagaglio di esperienze, 5 anni fa ho deciso di lasciare il mondo aziendale e iniziare un percorso autonomo. Una scelta rischiosa e anche sofferta, ero (e sono) legatissima a Sky, ma per chi opera nei nostri ambiti, penso sia indispensabile ogni tanto cambiare prospettiva e rimettersi in gioco.
E come sei arrivata al mondo dei podcast?
Per una fortunata coincidenza. Mia sorella Rossana de Michele nel 2018 ha intuito prima di tutti il potenziale della “novità”, fondando con il socio Gian Andrea Cerone la piattaforma di podcast, storielibere.fm. Hanno messo in piedi un progetto straordinario, a partire dai ‘pilastri’ come “Morgana”, “Fucking Genius”, portando nel mondo audio nomi eccellenti della narrativa e contribuendo enormemente a costruire le fondamenta del mercato - che è esploso proprio in questi 4 anni. Ho iniziato a collaborare fin dal lancio, seguendo tutta la filiera, dallo scouting alla scrittura e produzione. Per Storielibere ho curato “Archivio Pacifico”, podcast di interviste con lo scrittore Francesco Pacifico, le serie per Audible “Cammini” con Enrico Brizzi e “Divino”, con Federico Buffa in veste di esperto di vigneti e cantine.
Ho seguito molti progetti anche per Dopcast, joint venture di Sony e l’agenzia MN, lavorando più sui branded content per clienti come Bauli, Lancôme, Kia, e facendo qualche sperimentazione narrativa con i loro talent come “Amore di mezzo”, un teen drama scritto con Junior Cally.
Ho fatto quindi un allenamento intensivo nell’ideazione e scrittura di podcast di tutti i tipi, da quelli più narrativi, ai branded, e nella costruzione del sound design, l’altra quota di scrittura di un podcast - che si scrivono anche al montaggio.
La pandemia mi ha concesso lo spazio mentale e il tempo per immergermi nello studio del montaggio audio, fondamentale per un’ulteriore scatto nella scrittura. Chiaramente non è necessario imparare a montare per saper scrivere un podcast, ma le nozioni base su voce e suono è importante conoscerle. Aiuta molto a immaginarsi la resa finale sia della struttura narrativa che del testo.
Attualmente lavoro principalmente come Development Executive per la casa di produzione Minerva Pictures, per la quale seguo lo sviluppo e la scrittura di serie tv e documentari. Ma continuo a dedicarmi anche ai podcast, che ormai sono parte della mia vita.
Quali sono le competenze che deve avere chi si vuole occupare di un podcast?
Partirei dal farsi un’idea completa di quello che è stato fatto negli ultimi due-tre anni. Ascoltare tantissimo, sia i titoli più famosi che podcast di nicchia.
Fondamentale anche conoscere gli utenti finali. Chi ascolta i podcast, quando, quanto, cosa piace, cosa non funziona. Siamo passati in cinque anni da “Veleno” e qualche podcast indie autoprodotto a un mercato con 20mila titoli in italiano disponibili, leggevo qualche giorno fa. Chiaro che le regole del gioco anche per chi scrive e realizza i contenuti sono cambiate: la concorrenza è tanta, ma anche le opportunità.
Penso sia importante costruire competenze complete, è un mercato dove budget e ricavi sono ancora molto bassi e bisogna saper fare un po’ tutto. Perché nei podcast la filiera è cortissima: chi fa podcast sa bene che non significa stare dietro a una tastiera a scrivere un copione.
Quindi competenze di scrittura ma anche capacità organizzative e dimestichezza con la produzione di contenuti e la post produzione.
Quali sono i punti di contatto tra la serialità creata per la televisione e quella pensata per l’audio?
Se per serialità intendiamo contenuti in grado di creare un appuntamento e una fidelizzazione, non c’è differenza nel meccanismo. Dipende dalla credibilità del progetto, dalla qualità dei contenuti, dalla relazione che costruisci col pubblico. Né nelle opportunità di fruizione, anzi, l’audio è ancora più ovunque e in qualsiasi momento.
Se parliamo più di scripted, una serie audio scritta e sonorizzata bene, è in grado di creare l’effetto binge listening quanto una serie televisiva. La differenza sta nei numeri e nei mezzi. Quanto si può investire per produrre un contenuto audio, non solo in scrittura e produzione ma ragionando anche in termini distributivi, promozionali, e puntare a costruire audience. Servono progetti ambiziosi, talent, mezzi importanti per realizzarli.
Sicuramente l’ingresso di tanti nuovi player negli ultimi 2-3 anni è un buon segnale in generale per questo nuovo mercato, ha aumentato la possibilità di sperimentazione a tutti i livelli e su vari formati narrativi.
Ci sono ottime realtà artigianali, come ottime media company che stanno dedicando risorse e competenze a far crescere i podcast, penso ad esempio a Chora, e l’interesse attorno alla serialità mi sembra continui a crescere in tutte le sue declinazioni.
Un prodotto o progetto di cui sei particolarmente orgogliosa?
“Romanzo Criminale”, perché è stata la prima serie attorno a cui abbiamo creato un’identità a 360 gradi. Sulla carta non era una sfida semplice, attori esordienti, un film di successo a precederla (e creare aspettative), una pubblico numericamente limitato agli abbonati. Ma ha dato il via a un nuovo approccio di ideazione e costruzione di un immaginario televisivo- oltre che a un nuovo livello di scrittura e produzione con cui confrontarsi.
Per i podcast, sicuramente sono orgogliosa di “Archivio Pacifico”, il mio battesimo, che prosegue (felicemente anche senza di me!) su Storielibere e ha appena vinto come miglior Podcast di interviste ai Podcast Awards organizzati da Il Pod al Teatro Carcano di Milano.
Uno a cui stai lavorando?
Sto finendo gli ultimi episodi di un podcast che ho curato per il Maxxi di Roma, “iNCONTRi”, storie di coppie di architetti, artisti e designer. Le curatrici del Museo sono inserite all’interno di un racconto narrativo, a metà strada tra la divulgazione e lo storytelling, e sono episodi monografici di mezz’ora.
Sto anche seguendo come produttore creativo un documentario su Pio La Torre, diretto da Walter Veltroni, e lavorando allo sviluppo di diverse serie Tv.
E nel futuro?
Trovare l’idea giusta per una serie fiction audio che lasci il segno.