Come ci divertivamo durante il lockdown? Ce lo dicono i Big Data
I big data ci dicono con precisione come passavamo il nostro tempo durante il lockdown, ma ci indicano anche quali saranno i nostri comportamenti nel prossimo futuro. Per i media online ignorarli rappresenterebbe un errore fatale.
Serie TV, podcast, grandi saghe in televisione, app per fare esercizio fisico e, ovviamente, social network. Così passavamo il tempo l’anno scorso, costretti a stare chiusi in casa mentre fuori imperversava la pandemia. Questi erano i nostri modi per distrarci, per non pensare a ciò che accadeva oltre le nostre mura. Lo sappiamo perché siamo noi i protagonisti di questa storia, ma anche perché il digitale ha aiutato gli addetti ai lavori a farsi un’idea precisa sulle nostre abitudini. Succede grazie ai Big Data, tante piccolissime informazioni strutturate e non strutturate che messe insieme formano un enorme archivio utile a tenere traccia dei nostri comportamenti e a capire, in questo caso, cosa ci ha intrattenuto, cosa ci ha divertito, cosa ci è piaciuto come singoli e come comunità. Dati che indicano anche chi era più incline a rispettare le regole imposte dal Governo e chi lo era meno, chi tendeva ad ordinare la cena fuori e chi preferiva comprare lievito e farina per sperimentare in cucina e via dicendo.
“La digitalizzazione è stata determinante per la ricerca. Grazie ad essa abbiamo a disposizione uno straordinario ammontare di dati, la cui velocità e varietà non hanno precedenti nella storia umana”, spiega su Agenda Digitale Lorenza Saettone, filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo.
Tutte queste informazioni sono state sviscerate, analizzate, raccolte in diversi studi che non solo ci spiegano i come e i perché del recente passato, ma ci aiutano anche a predire e pianificare il futuro.
Cosa facevamo durante il lockdown?
Era il 9 marzo 2020 il giorno in cui l’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una diretta notturna, comunicò ai cittadini che l’Italia era zona protetta. Poche settimane dopo la stessa sorte toccò a tutti gli altri Paesi. Da quel momento in poi decine di milioni di persone si sono ritrovate chiuse in casa con tanto tempo libero a disposizione.
“Girandosi i pollici sul divano, durante la pandemia il lavoratore medio a tempo pieno ha guadagnato circa il 15% in più di tempo libero”, rivela l’Economist. I big data ci dicono con precisione cosa questi lavoratori hanno fatto. Secondo i dati forniti dal quotidiano inglese, infatti, durante il lockdown il tempo trascorso online è aumentato di 30 minuti al giorno arrivando a quasi cinque ore, la visione di video (streaming compreso) è cresciuta di circa 80 minuti a settimana, il tempo trascorso a giocare a i videogames è salito del 30%. E ancora: +30% per podcast e audiolibri, +5% per la musica, +15% per i social network.
In base ai numeri forniti da Nielsen inoltre, quattro persone su dieci hanno riferito che durante il periodo di chiusura hanno letto più del solito. Il salto è stato più pronunciato tra i giovani, in particolare le donne, che hanno trascorso il 50% in più di tempo a leggere rispetto al periodo pre pandemia.
Come ci intratterremo nel futuro?
I big data ci hanno detto cosa facevamo durante il lockdown, ma possono anche aiutarci a capire cosa faremo adesso che faticosamente stiamo tornando alla normalità. Quali delle abitudini che abbiamo acquisito resterà e quale invece sarà abbandonata? In base ai dati di Omdia citati dall’Economist, il primo settore a risentire di questo ritorno alla normalità è anche quello che durante il lockdown ha registrato la crescita maggiore: lo streaming video, con il numero medio di spettatori che sta cominciando a calare. Un esempio? Nel primo trimestre del 2020 15 milioni di persone si erano iscritte a Netflix mentre nello stesso periodo del 2021 i nuovi abbonati sono stati “solo” 5 milioni.
“Tuttavia, i principali perdenti nella recessione dell'attenzione, quando si tratta di visualizzazioni, saranno i formati della vecchia scuola. La visione via cavo in America, da tempo in declino, è leggermente aumentata durante il lockdown del 2020. Ma la riapertura lo ha fatto scivolare più velocemente che mai: -23% su base annua nel secondo trimestre del 2021, secondo la società d’analisi MoffettNathanson,”, fa sapere il giornale inglese.
I big data danno un’indicazione importante per il futuro. Per sopravvivere tutti i principali media dovranno adattarsi alla rivoluzione determinata dalla pandemia, ma anche reinventarsi, tenendo in considerazione una variabile fondamentale: il tempo. Le persone non hanno più il tempo di sdraiarsi davanti alla tv e subire passivamente i palinsesti e per questo motivo non intendono più adattarsi a percorsi e abitudini imposti dall’alto.
“Si vuole avere margine di iniziativa, potendo personalizzare i tempi, i luoghi, la velocità, la diegetica, gli strumenti con cui ci intratteniamo”, spiega ancora Saettone. Dai musei ai videogames, consentire agli utenti/consumatori di comportarsi da soggetti attivi, o ancora di più da protagonisti, diventerà fondamentale in tutti gli spazi culturali. Dai big data si può dunque trarre una lezione importante “O si superano le antiche logiche che vedevano pochi autori e una massa di fruitori passivi o il pubblico inevitabilmente sceglierà i prodotti che gli permetteranno di essere protagonista”, conclude Agenda Digitale.