Perdersi per sentieri inesplorati: Giovanni Agosti racconta la sua idea di cultura e di insegnamento
Nelle sue Lezioni d'Autore per Feltrinelli Education, lo storico dell'arte invita a esplorare i percorsi artistici italiani al di fuori del solito asse Venezia-Firenze-Roma e a ripensare il modo in cui organizziamo manifestazioni culturali
Nelle mie Lezioni d'Autore, ho cercato il più possibile di coniugare cultura e intrattenimento, anche se per me le differenze non ci sono mai state perché mi sono sempre divertito a studiare e a lavorare e la mia vita è essenzialmente questo.
Penso che la storia dell'arte che abbia una dimensione creativa, come viceversa la produzione artistica abbia una dimensione storica: in altre parole, la storia può farsi invenzione, così come il lavoro di un artista o di un architetto può farsi storia. Inoltre, grazie alla storia dell'arte è possibile girare il mondo senza lasciare la propria stanza, anche per chi come me non ha mai amato particolarmente spostarsi.
Quello che cerco di fare quando insegno è cercare di inventare modalità sempre nuove di fruire la cultura. Esiste la possibilità di fare dei vestiti preconfezionati ma funzionali e quella di creare dei vestiti su misura. Io cerco di lavorare così con gli studenti, di inventare qualcosa che sia portabile da tutti e laddove ci siano delle situazioni di emergenza o di eccezionalità andare invece a rifinire il lavoro. Perché la difficoltà di chi insegna oggi in un'università di massa, nella quale viene reclamizzata un'accessibilità ai mestieri culturali indistinta, è una responsabilità molto grande, una responsabilità che molto spesso mi mette in crisi di fronte a dei numeri che sono mostruosi e che la realtà non può assorbire.
Oggi siamo stati drogati dall'industria delle mostre e della storia dell'arte, illudendo che basti un po' di passione per gli impressionisti o per Frida Kahlo per mettersi a fare gli storici dell'arte e trovare lavoro. In questo c'è un grosso gioco di complicità di persone che a un certo punto hanno cominciato a equivocare - in parte ingenuamente e in parte cinicamente - preferendo la non complessità alla complessità per puntare in buona sostanza allo sbigliettamento. Questo è un tema che mi è particolarmente caro e ho riflettuto moltissimo su come fosse possibile inventare un'altra forma di manifestazioni culturali da parte dell'ente pubblico.
C'è stato il tentativo di riprendere il filo con una tradizione che ha scritto pagine significative dell'identità di questa regione, con dei modelli che in passato hanno insegnato al Paese e anche all'Europa. Perché le mostre che il Comune di Milano è stato capace di fare, senza società di servizi ma con le proprie forze, sono state delle mostre che hanno segnato dei momenti alti della storia dell'arte del Ventesimo secolo. Il mio auspicio è sempre stato questo poi è chiaro che bisogna confrontarsi con la realtà e provare delle forme anche più adulte di compromesso, ci abbiamo provato con Jacopo Stoppa e Marco Tanzi in occasione della mostra del Bramantino nel Castello Sforzesco a Milano nel 2012.
E se dovessi decidere qual è il modello di manifestazione culturale che ho in testa è sicuramente quello del Bramantino, cioè un modello secondo cui si possono riunire le persone attorno a un tema che non è ovvio e inventare una manifestazione che sia gratuita, di buon livello scientifico e che non rimastichi il già detto, il rifacimento di manifestazioni che si fanno altrove. In questo senso, penso che l'esplorazione territoriale possa dare ancora grandissimi risultati ed è un'esortazione ai più giovani la mia.
Anche nelle mie Lezioni d'Autore per Feltrinelli Education, cerco di trasmettere l'idea che ci sia ancora tantissimo da scoprire, senza nessuna demonizzazione del mercato ma anche al di fuori del mercato: non è che le uniche scoperte sono quelle che si trovano nei cataloghi delle aste o fra le cose in vendita. C'è molto da scoprire anche nelle cose che sono patrimonio di tutti: anche nelle chiese, anche nei municipi, c'è la possibilità di descrivere dei segmenti di storia diversa. Su questo sarebbe importante che le nuove generazioni si concentrassero, molto più che digerire l'ennesimo Manet, l'ennesimo Monet, l'ennesimo Keith Haring, l'ennesimo Andy Warhol. Un canone che ammette pochissimi ingressi, il consumo di quei medesimi e qualche volta l'espulsione.
È come se dovessimo immaginare delle programmazioni teatrali o liriche che hanno sempre gli stessi protagonisti. È chiaro che facendo sempre la Traviata, il Rigoletto o la Bohème riesco sempre a riempire un teatro ma lo scopo di un teatro pubblico è anche quello di far conoscere quello che non si fa, quello che può riemergere dal passato, che spesso è più nuovo dei velleitarismi del presente. E altrettanto spesso poi, i remake sono peggiori dell'originale.
Nel 2015, ho avuto varie discussioni quando è stata rifatta una mostra famosissima del 1958 a Milano che si chiamava "Arte lombarda: dai Visconti agli Sforza", una mostra meravigliosa che inventa Roberto Longhi e che, come ha scoperto un mio allievo, Tommaso Tovaglieri, è stata persino riprodotta in un film giovanile di Cassavetes. Il suo rifacimento nel 2015 è stato come riprodurre La dolce vita o Il Gattopardo. Ci sono dei congegni storiografici che sono grandiosi come delle invenzioni letterarie, sono delle invenzioni poetiche e non si possono riprodurre: ci vuole il coraggio di inventare qualcos'altro, non ci si può adagiare su uno schema preesistente, bisogna avere voglia di sperimentare e di uscire dai sentieri consolidati, correndo anche il rischio di perdersi.
In un certo senso la ricerca storica è una forma di autocoscienza e questa forma di autocoscienza è un'indagine in noi stessi che parte da quello che possiamo raggiungere. Quello che invece strappiamo attraverso la potenza muscolare del denaro non so alla fine quanto possa lasciarci davvero; forse ti lascia la cassa, ma dentro di noi lascia veramente poco. Tutto questo lo dice una persona che ama il grande spettacolo e anzi, il mio dramma è che se mi vengono delle idee sono sempre idee costose. Tuttavia, si deve anche capire come spenderle le risorse, quando sono spese per noleggiare delle cose che possono essere qui come altrove è meglio che le si spenda per aiutare chi ha bisogno.
In ogni caso poi non è detto che occuparsi del passato non sia il modo più legittimo di occuparsi anche del presente. Può sembrare un vecchio adagio crociano ma è così, io continuo a crederlo: è lo sguardo che conta, non il soggetto.
Ringraziamo Giovanni Agosti per il contributo.