Nicolò Govoni, come realizzare il sogno di far studiare i bambini nei Paesi più svantaggiati
Classe 1993, originario di Cremona, con la sua ong “Still I Rise” è presente in sei Paesi nel mondo, dando lavoro a 40 persone e mandando a scuola centinaia di bambini che non potrebbero permetterselo
Nicolò Govoni, classe 1993, originario di Cremona, è stato tra i nominati al Nobel per la Pace del 2020 dalla Repubblica di San Marino. La storia che ha portato questo giovane italiano a fondare la onlus Still I Rise, tramite la quale offre istruzione di qualità ai bambini dei Paesi più svantaggiati nel mondo, è cominciata “quasi per caso” – come racconta lui stesso in una intervista a Vanity Fair.
Il suo percorso nel mondo del volontariato parte quando a vent’anni, quando va in India per un’esperienza nell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home. “In modo molto entusiasta ma anche sprovveduto”, confessa. “Ho avuto la classica adolescenza difficile, bocciature, problemi vari e sono partito per l’India per cercare qualcosa dentro di me. Ho sempre accarezzato l’idea utopica di fare il dottore perché volevo aiutare la gente”. Però proprio in quel primo viaggio si accorge che fare davvero il cooperante è qualcosa di ben diverso: “La mia vita è cambiata, non perché l’esperienza fu bella. Avevo pagato l’organizzazione per questo progetto di volontariato e invece era il volonturismo”. Ovvero quel volontariato misto al turismo che rischia di avere poche o nessuna ricaduta sui territori e le popolazioni.
In India, alla fine, resta quattro anni per dedicarsi ai bambini dell’orfanotrofio. “Mi sono accorto di questo errore, non volevo lasciare i bambini di quell’orfanotrofio sapendo di traumatizzarli”. È stato questo l’inizio: “Tanti errori che hanno portato alla consapevolezza verso un volontariato etico e poi alla cooperazione”.
Nicolò sul sito di Still I Rise racconta della sua infanzia vissuta con i nonni, mentre gli studi non vanno granché e lui infrange – parole sue – ogni regola. A diciotto anni, era come se si sentisse “già vecchio”, insoddisfatto di quel che lo circondava e della vita che gli si prospettava davanti. Da qui la decisione del viaggio in India. Ed è qui, dall’altra parte del mondo, che matura l’idea di iscriversi all'Università per studiare giornalismo mentre insegna ai bambini dell’orfanotrofio.
La struttura riesce sopravvivere anche grazie al denaro raccolto con il primo libro di Nicolò, “Uno”, un insieme di storie frutto proprio del tempo trascorso lì. Con quei proventi nel 2016 Nicolò riesce a mandare tutti i più piccoli a scuola e persino tre dei ragazzi più grandi all’Università. Un anno dopo la sfida si ripete: “I ragazzi da mandare all’Università sono cinque e i fondi insufficienti – ricorda Nicolò – . Per la prima volta temo di non poter tenere fede alla mia promessa”. La soluzione arriva ancora una volta dalla scrittura: in un mese Nicolò realizza il suo secondo libro, “Bianco come Dio”, e lo auto pubblica come ebook. Raggiunge quasi 10mila lettori, riuscendo ancora una volta di far studiare i ragazzi dell’orfanotrofio.
Dopo quattro anni, saluta l’India per dedicarsi ad altre esperienze. Prima in Palestina e poi a Samos, in Grecia, dove crea una scuola per i bambini rifugiati sfuggiti alla guerra e provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq e da diversi altri Paesi tra Asia e Nord Africa.
Nel 2018, insieme ad altre due volontarie, Sarah Ruzek e Giulia Cicoli, Nicolò fonda la ong Still I Rise e nel frattempo entra coi suoi libri nel catalogo Rizzoli, che gli consente di far conoscere i suoi progetti e attirare donazioni. Uno dei donatori decide di sponsorizzare per un intero anno la costruzione della scuola per i rifugiati: “In un mese costruiamo i muri, rifacciamo l’impianto elettrico, ordiniamo banchi e sedie, installiamo i condizionatori e riceviamo tutta la cancelleria. In tre parole, costruiamo una Scuola”.
Si chiama Mazì e accoglie circa 150 bambini e adolescenti. Nella stessa isola, le autorità greche però si rendono protagoniste di soprusi contro i migranti nell’hotspot di Samos: nel giugno del 2019, Nicolò pubblica “Se fosse tuo figlio”, il suo terzo libro, i cui ricavati vengono impegnati in un progetto simile a quello di Mazì, ma in Turchia, per avviare i lavori della prima Scuola Internazionale per minori profughi al mondo.
Oggi le scuole di Still I Rise oggi si trovano anche in Siria e in Kenya. E Nicolò dirige la ong in sei Paesi, dando lavoro a circa quaranta persone nel mondo. E diffondendo l’idea di una cooperazione reale e organizzata su basi solide contro la deriva del volonturismo, come racconta in uno speech dei Ted Talk.
“Apriamo scuole di due tipi: di emergenza nei contesti più impermanenti, quindi Grecia e Siria per adesso. Sono scuole informali, che fanno educazione informazione, sempre di qualità ma che chiaramente si sposano al contesto di urgenza, poco prevedibile, di questi luoghi, con un focus sull’assistenza medica, alimentazione, vestiario”, spiega Govoni. “In Turchia e Kenya invece facciamo scuola internazionale, che è il passo in più rispetto alla scuola di emergenza. Lo facciamo perché quelli in cui lavoriamo sono Paesi con difficoltà ma più stabili e che possono accogliere tante persone dai paesi limitrofi”. Con la scuola internazionale si raggiunge così “un diploma, con un percorso di studi che dura sette anni, riconosciuto nel mondo, che è anche molto costoso e disponibile in moltissime scuole nel mondo ma noi lo offriamo gratis. È questa la rivoluzione educativa in cui noi crediamo molto. I bambini che arrivano da noi sono bambini che fanno molta fatica nella loro vita. Sono adorabili, svegli acuti, ma vengono a scuola con i gomiti squarciati, sporchi, noi cerchiamo di creare una rottura di questo equilibrio per cui ci sono scuole per i figli di ambasciatori e politici e baracche. Noi vogliamo creare un’intersezione tra questi due mondi”.
Il suo metodo è molto pragmatico: “Noi sogniamo in grande poi spezzettiamo questi sogni in passi possibili. Io credo molto nei sogni, poco in quelli che sono alimentati solamente dall’entusiasmo”, dice. Il prossimo obiettivo è “un’altra scuola internazionale in Sud America, in supporto alla crisi venezuelana, che ora è una di quelle che produce più profughi al mondo e di cui non si parla mai. Poi ci sono situazioni di emergenza in tantissimi Paesi, dove io sognerei di aprire scuole di emergenza: Yemen, Congo, Bangladesh, Afghanistan. Se le donazioni diventano stabili possiamo fare tanto”.