Lavorare cambia
Dal lavoro da remoto alle professioni digitali, dalla tutela dei diritti dei lavoratori alla trasformazione di interi settori: cambiano i lavori, ma cambia anche il nostro modo di lavorare.
Macchine che ci sostituiscono nei lavori più umili, diventano sempre più intelligenti e un bel giorno - a seconda dei punti di vista - si ribellano ai loro stessi creatori e finiscono per dominare il mondo e ridurre in schiavitù l’intera umanità. No, non è la trama di un film di fantascienza a corto di idee originali, è quello che per anni ci è venuto in mente parlando di tecnologia e lavoro.
Ma non serve guardare a lontani futuri distopici: il lavoro, soprattutto grazie alla transizione digitale, sta cambiando già adesso.
Le macchine ci sostituiranno?
Tutti concordano sul fatto che molti lavori scompariranno per via dell’automazione, ma nessuno è d’accordo sul quanti. Un report di McKinsey parla un numero variabile tra 400 e 800 milioni di posti di lavoro che saranno sostituiti dalle macchine entro il 2030; uno studio dell’OCSE suggerisce che il 14% dei lavori attuali è automatizzabile e un celebre studio dell’Università di Oxford - poi molto criticato - nel 2013 parlava addirittura del rischio che il 47% dei lavoratori americani si sarebbe vista sostituita da una macchina entro pochi decenni.
Ma, a pensarci bene, in un mondo in cui non c’è praticamente più niente che non facciamo attraverso uno schermo, di lavori ne sono soprattutto emersi di nuovi. Le professioni più richieste dalle aziende nel 2022 solo dieci anni fa non esistevano nemmeno: dall’analisi dei dati agli esperti di cyber security e intelligenza artificiale, fino ai tanti ruoli del digital marketing e dell’e-commerce.
E il discorso non vale solo per chi può vantare una laurea in ingegneria informatica, ma anche per i lavori culturali e creativi. Senza contare l’esplosione della creator economy, le relazioni fra lavoro culturale e lavoro digitale sono diventate infinite. Alcuni esempi? Dall'organizzazione di eventi, che negli ultimi anni si è svolta praticamente solo online, alla comunicazione e alla distribuzione di libri e prodotti editoriali, che dagli uffici stampa e dalle librerie oggi si svolge invece a suon di content marketing. E, fino a pochi anni fa, chi avrebbe mai sognato di diventare un podcaster?
Nuovi modi di lavorare
Ma non solo sono nati nuovi lavori: più nel profondo, anche le professioni di una volta non sono più le stesse perché è il nostro modo di lavorare che è cambiato. A partire naturalmente dallo smart working - o più semplicemente “lavoro da remoto” visto che il termine smart working lo usiamo solo in Italia - che, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, rimarrà o sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende, nel 62% delle PA e nel 35% delle PMI italiane. La prospettiva, insomma, è quella di un lavoro sempre più ibrido tra fisico e digitale. Tutti contenti? Forse.
Steve Jobs, in una celebre intervista, definiva i computer “una bicicletta per la mente”. In un saggio più recente e pessimista, Evgeny Morozov ha parlato piuttosto di “catene di montaggio per lo spirito”. Basti pensare al funzionamento dell’economia dell’attenzione - in cui oltre a produttori siamo anche prodotti - ma più in generale alla frammentazione di impegni che caratterizzano le nostre giornate e che rendono sempre più sfumato il confine tra lavoro e tempo libero: dal fissare appuntamenti, al rispondere alle mail, ad aggiornare i nostri social.
Nuovi diritti
Del resto, tra i nuovi lavori resi possibili dal digitale rientrano anche quelli della cosiddetta gig economy, basata su lavoro a chiamata e poche o nulle garanzie contrattuali. In questo contesto, esacerbato dalla pandemia, si è cominciato a parlare di “digital fatigue”: l’esaurimento causato dalla gestione quotidiana di schermi e servizi digitali.
Per questo, anche da prima del 2020, si comincia a rivendicare il diritto alla disconnessione, per evitare che vita personale e lavorativa si mescolino. Un diritto che con alcune differenza è già realtà in Francia, Spagna, Portogallo e anche in Italia: il primo cenno normativo risale al 2017, mentre il decreto n. 30 del 13 marzo 2021 per primo parla esplicitamente di “diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche”, per “per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore”.