La scuola ha un problema (grosso) con la creatività e l’immaginazione
A scuola c’è sempre meno spazio per arti, musica e teatro, mentre a casa gli adolescenti smettono di leggere e di viaggiare con la fantasia. La creatività e l’immaginazione rischiano di estinguersi, sacrificati sull’altare della professionalizzazione
L’arte, la musica, la lettura sono ancora importanti per la scuola? Guardando gli ultimi dati la risposta sembra essere un altisonante, sonoro e inequivocabile No. La scuola, riassume il Guardian, sta affrontando una profonda crisi di creatività cui contribuiscono sia i tagli alle risorse destinate all’istruzione, sia la crescente importanza delle discipline STEM che nel corso dell’ultimo decennio ha spostato l’attenzione dal “sapere come fonte di conoscenza” al “sapere per apprendere un mestiere”. Un approccio più pratico e utile per consentire agli studenti di farsi trovare preparati nel momento in cui entreranno nel mondo del lavoro, ma che lascia l’amaro in bocca per via di quello che stiamo perdendo per strada. La creatività, l’immaginazione, il talento, il guizzo artistico sembrano essere passati in secondo piano, riposti in un cassetto in nome di un bene maggiore. L’equilibrio dei saperi sta cedendo il passo alla necessità di formare e professionalizzare giovani lavoratori che si sobbarchino sulle spalle il futuro - traballante - dell’economia.
Eppure, ciò di cui non si tiene conto, è che anche la cultura e la creatività contribuiscono alla ricchezza economica di un Paese, soprattutto in un continente come l’Europa che sulla storia, sulla letteratura e sul patrimonio artistico continua a costruire la propria grandezza.
Il rischio? È quello di “impoverire il futuro di tutti noi”, sostiene il Guardian, sottolineando che l’apprendimento della musica, della pittura, del teatro sin da bambini aiuta da grandi a diventare cittadini più consapevoli, ma anche professionisti migliori in qualsiasi settore si operi. “Molte fonti di ricchezza nazionale (dal petrolio del Mare del Nord al pesce del Mare del Nord) sono limitate, ma gli unici limiti alla creatività sono l'istruzione e la fiducia”, commenta il giornale britannico.
L’indagine britannica
La crisi di creatività non riguarda solo la scuola italiana, anzi. Anno dopo anno pare diventare un problema sempre più internazionale. Lo dimostra un’indagine effettuata dal Labour Party britannico che testimonia come il numero di studenti e insegnanti di arti creative nel Regno Unito sia diminuito di quasi un quinto dopo un decennio di investimenti insufficienti. Per l’anno in corso, per esempio, i finanziamenti stanziati dal governo conservatore guidato da Boris Johnson per programmi musicali, artistici e culturali, ammontano a sole 9,4 sterline per studente.
Lo studio mostra che il numero di studenti di musica e recitazione del GCSE (General Certificate of Secondary Education, la scuola superiore britannica) è diminuito di un quinto nell'ultimo decennio, così come il numero dei docenti di recitazione. Andamento simile per musica, arte e design, materie per le quali si fa fatica addirittura a trovare insegnanti. Non solo, un’ulteriore indagine realizzata dall’Ofsted ha evidenziato che lo studio delle arti e della musica sta ampliando anche il divario economico esistente tra le varie fasce della popolazione. Le arti sono diventate materie appannaggio dei ricchi, che possono permettersi insegnanti privati, oltrepassando le carenze del sistema scolastico.
”Le riforme scolastiche hanno indotto gli alunni ad abbandonare le materie artistiche come la danza, la musica e l'arte e ad avvicinarsi a materie accademiche più tradizionali come la geografia e l'inglese”, evidenzia il Labour Party, sottolineando che “le industrie creative contribuiscono con 11 miliardi di sterline all'economia del Regno Unito”. Tralasciare queste abilità, dunque, avrebbe delle ripercussioni tangibili anche sull’economia.
Lettura e immaginazione
Emilio Salgari è riuscito a narrarci le meraviglie della Malesia senza mai lasciare la sua scrivania; Jack Kerouac ci ha fatto conoscere le città meno “patinate” degli Stati Uniti, ispirando pensieri e comportamenti di migliaia di giovani appartenenti alla cosiddetta Beat Generation; Luis Sepùlveda ci ha condotti addirittura nella selvaggia Patagonia permettendoci di assaporarne sapori e odori, di sperimentare le difficoltà che un territorio inesplorato e lontano può porre davanti a un uomo che viaggia con un’agenda nel taschino e una penna in mano. Grazie alla lettura abbiamo visitato con l’immaginazione luoghi in cui non metteremo mai piede, abbiamo conosciuto persone diverse da noi che hanno arricchito il nostro bagaglio personale senza mai parlarci davvero. Abbiamo fatto esperienze, realizzato sogni, gioito per le conquiste di personaggi mai esistiti e pianto per delle sofferenze che pagina dopo pagina sono diventate nostre. Attraverso i libri e le loro storie abbiamo acquisito un patrimonio intangibile che ci ha migliorato personalmente, culturalmente e professionalmente. Ha stimolato la nostra immaginazione, ci ha insegnato cos’è e soprattutto come si costruisce la creatività, ha ampliato la nostra mente, spingendoci a coltivare talenti ed emozioni.
Una ricchezza inestimabile che le nuove generazioni rischiano di perdere per sempre. Il motivo è presto detto: non si leggono più libri. “Se è vero, come è vero, che la lettura è ‘cibo per la mente’, i nostri adolescenti sono in una condizione di pericolosissima anoressia”, commenta il Corriere della Sera.
Non si leggono più libri
Uno studio condotto dal Laboratorio Adolescenza-Iard ci consegna una fotografia preoccupante sul rapporto tra giovani e libri. In base ai dati contenuti nell’indagine, solo il 15% degli studenti legge annualmente più di sei libri non scolastici. Più di 6 su 10 (il 65%), al contrario, non ne leggono nemmeno uno, mentre 3 su 10 ne leggono 1 o al massimo 2. Percentuali e numeri che diventano ancora più drammatici se si tiene conto che tra lockdown, restrizioni e didattica a distanza, nell’ultimo anno e mezzo il tempo da dedicare alla lettura non è mai mancato. Il problema allora non è il tempo, ma più che altro la mancanza di abitudine.
“Leggere - ha spiegato Anna Rezzara, pedagogista e docente senior dell’Università Bicocca di Milano al Corriere – è un’esperienza difficile, solitaria e che ti costringe a un’immersione attiva nella storia narrata. Gli adolescenti di oggi sono fortemente orientati verso esperienze condivise e facili ed hanno prevalentemente un atteggiamento di tipo reattivo verso ciò che li circonda, il che ci farebbe sommariamente ed amaramente concludere che sono di per sé antitetici alla lettura”.
Il risultato di questa nuova realtà si traduce non solo in una perdita enorme in termini di creatività e di immaginazione, ma anche nei dati provenienti dai test Invalsi che tanto hanno scandalizzato il Paese nelle scorse settimane: il 44% degli adolescenti non raggiunge un livello accettabile in italiano, percentuale in crescita rispetto al 35% del 2019, mentre (complice anche la Dad) il 45% degli studenti delle superiori ha indicato di aver avuto difficoltà a seguire e comprendere le lezioni.
Cosa fare per cercare di ovviare? Le proposte più diffuse vanno dalla necessità di stimolare gli studenti a intraprendere percorsi di lettura collettiva al bisogno di far vivere i ragazzi in ambienti in cui i libri siano sempre presenti. Utile potrebbe essere anche sfruttare le potenzialità degli audiolibri o dei volumi interattivi e, in generale, del digitale. C’è però anche un errore da evitare sempre: mai fare in modo che gli studenti percepiscano la lettura come un compito e non come un piacere. La creatività e l’immaginazione, d’altronde, non si fermano al suono della campanella che segnala la fine dell’ultima ora.