"La narrativa è una complessa, camuffata lettera a te stesso"
Imma Vitelli ci racconta la sua esperienza di scrittrice e giornalista, guidandoci tra pratica, ispirazione e narrazione.
Dopo gli studi in giornalismo alla Columbia University di New York, Imma Vitelli ha vissuto dieci anni in Medio Oriente, al Cairo, a Beirut e a Istanbul. Ha collaborato con diverse testate italiane e internazionali (tra cui AP, Business Week, CNN, Sette del Corriere della Sera, La7, D di Repubblica) e dal 2006 al 2017 è stata inviata di guerra del settimanale Vanity Fair, tra Afghanistan, Pakistan, Congo, Somalia, Libia, Siria e Nord Corea. Ha scritto il saggio Tahrir (Il Saggiatore, 2012), il romanzo La Guerra di Nina (Longanesi, 2021), vari racconti e sceneggiature. Durante la pandemia ha creato il laboratorio "La cura delle parole", con cui ha messo in pratica il principio che "scrivere, in fondo, è mettersi in ascolto di se stessi".
Intervista a Imma Vitelli
La scrittura è una pratica che consiglieresti a tutti?
Non c’è dubbio. Scrivere mi ha salvato la vita. Ero in frammenti e se non avessi scritto, ricostruendo la mia storia, probabilmente oggi sarei ancora da qualche parte sotto le bombe. Scrivere non costa niente ed è una pratica preziosa di igiene mentale. Ti metti lì e dialoghi con te stessa, e ti chiedi cosa sia successo, e capisci delle cose profonde. È un esercizio di consapevolezza. La meraviglia è che quando comincia questa ricerca, non riesci a smettere. È di una tale ricchezza!
La scrittura è sempre un esercizio autobiografico in qualche misura?
Philip Roth diceva che la narrativa è una complessa, camuffata lettera a te stesso. Mi ci ritrovo molto in questa definizione. Si scrive con l’inconscio e penso che le storie che ci entrano dentro riescono a trasmettere una profonda esperienza emotiva. Henry Miller diceva che scrivendo buttava fuori il veleno. Virgina Woolf attingeva ai diari per creare i suoi romanzi ed era sempre un po' stupita dalle verità profonde che la coglievano mentre provava a trasformare in parole una crepa interiore.
Hai un metodo che ti permette di essere costante nella scrittura e che vuoi consigliare?
Ho un diario sul comodino. È il mio bollettino nautico del mattino. Al risveglio, ci scrivo sopra i sogni, li fermo, prima che siano spazzati via dalla luce del giorno. Quando ho tempo, ci ritorno. Mi interrogo sul loro significato. Sono i miei oracoli. Che cosa mi stanno dicendo? Che cosa mi sta succedendo? Bastano venti minuti al giorno di dialogo interiore per capire la direzione. Se faccio questo regolarmente, allora ho un arco narrativo, un movimento da trasformare in un racconto. In pratica, mi nutro di sogni. A questa fase, segue un periodo autistico, in cui mi chiudo nella mia casetta sul lago di Bolsena e scrivo tutti i pomeriggi almeno cinque ore.
Nella tua carriera ti sei occupata anche molto di giornalismo: in che modo questo ha influenzato la tua scrittura?
Per molti anni, ho girato il mondo scrivendo reportage di guerra. Col tempo, ho sviluppato un’ossessione per i dettagli che credo sia cruciale. Per ogni singola scena di cui ero testimone, cercavo una descrizione vivida ed evocativa. Volevo portare i lettori con me, lì dov’ero. Mi chiedevo: come faccio a catturare sulla pagina l’intimità feroce di questa cosa di cui sono testimone? È stata una grande lezione. Senza una rappresentazione vigorosa delle cose non resta niente.
Tra l'1 e il 3 luglio Imma Vitelli terrà, assieme a Marco Balzano, un weekend di scrittura creativa e autobiografica.