La data visualisation sta diventando mainstream
Da disciplina di nicchia, destinata esclusivamente a figure tecniche che utilizzano complicati strumenti di analisi, la data visualisation è ormai entrata nel quotidiano diventando preziosa per orientarsi in un mondo fatto sempre più di dati
Non è semplice tracciare la storia della data visualisation non esistendo resoconti strutturati che documentino l'intero sviluppo della rappresentazione visiva dei dati. Contrariamente a quanto comunemente ritenuto, la data visualisation non è frutto della modernità, di un approccio tecnologico. È alla preistoria, infatti, che risalgono i primi tentativi di codificare e comunicare informazioni attraverso elementi grafici. Da allora la disciplina si è decisamente evoluta, facendo incursione nelle aree più disparate - dalla storia all’astrologia, dalla geografia all’economia, dalla medicina alla sociologia - e nel periodo più recente è finalmente uscita dalla sua nicchia, fatta di tecnici ed esperti, per tentare di essere alla portata di tutti. Dalle app che tracciano le attività sul nostro smartphone, a quelle per monitorare le nostre finanze, la nostra dieta, il sonno o per contare i passi, fino ai bollettini meteorologici, abbiamo sempre in tasca visualizzazioni di ogni tipo, efficaci per presentare dati puntuali e capaci di esplicitare pattern di utilizzo, ma anche di comportamento.
I dati sono umani
Dear Data, un progetto di data visualisation analogico realizzato da Giorgia Lupi e Stefanie Posavec, rende la data visualisation “più umana” mettendo in discussione il classico modo di concepire e rappresentare dati a favore della progettazione di modelli visivi capaci di parlare di noi stessi e della nostra vita. La data visualisation diventa personale. Nel 2019 Lupi, con la collaborazione di & Other Stories, presenta un progetto che allarga ulteriormente i confini della disciplina. I dati si trasformano in “storie da indossare” e la data visualisation dimostra di essere uno strumento nuovo per creare pattern visivi unici e carichi di significato (le trame progettate, infatti, prendono vita grazie a storie vere di donne pioniere nel campo della scienza). Nasce così la prima linea di abbigliamento basata sui dati. Il mondo della data visualisation, spesso considerato freddo e impersonale, si avvicina a una dimensione più umana.
Dati musicali
Spotify, app estremamente popolare di streaming musicale, sceglie la data visualisation come strumento per creare engagement e curiosità. Dal 2015 “Spotify Wrapped” (allora con il nome “Year in Music”) presenta all’utente un riassunto del suo anno musicale. La data visualisation è di supporto per esplicitare informazioni sulle canzoni più ascoltate, estrapolare punti dati rilevanti (ad esempio il tempo passato ad ascoltare musica, in minuti) e fornire ulteriori insight riguardo i propri gusti musicali. La semplicità dei grafici utilizzati e l’estrema cura estetica nel presentarli, dall’animazione alla scelta dei colori, sono caratteristiche vincenti per comunicare informazioni che altrimenti risulterebbero poco interessanti se presentate con mere statistiche.
Familiarizzare con i dati
Nell’ultimo anno, complice l’impatto causato dalla pandemia, fasce di popolazione meno avvezze al rapportarsi col dato sono state bombardate da informazioni e aggiornamenti legati all’evoluzione di numeri, dati afferenti alla dimensione sanitaria, economica, occupazionale e socio-demografica. Il dato, da realtà pressoché distante, è diventato per moltissime persone parte della quotidianità, divenendo ago della bilancia per il funzionamento delle stesse comunità. Indici, andamenti, previsioni, curve, plateau, code, aggregazioni, tutti termini che sono entrati nelle discussioni di individui d’ogni età, estrazione sociale e background culturale. E le rappresentazioni, più o meno appropriate, sono divenute lo strumento sintetico per capire come “le cose stavano andando”. In pochi giorni, abbiamo familiarizzato con il grafico “flatten the curve” che ha fatto il giro di diversi social media, testate giornalistiche e magazine, così come con i “pallozzi” della dashboard sulla diffusione del virus della Johns Hopkins University. La presenza su medium popolari ha così liberato la data visualisation dalla dimensione di disciplina di nicchia, ponendola al centro della vita di tutti.
Parlare a tutti
La sfida che attende chi opera in questo settore sarà dunque quella di saper parlare a un pubblico incredibilmente più vasto rispetto al passato, persone con una minore dimestichezza alle tecniche statistiche, che necessitano dunque di “vedere” il dato, più che di leggerlo. A strumenti tecnici, come le famose dashboard di business Intelligence, si aggiungeranno sempre più esperienze data driven personalizzate (progettate ad hoc per le aziende, per le istituzioni e per i singoli utenti). La comodità d’accesso, la facilità di comprensione e la bellezza, che l’uomo ricerca da sempre in qualsiasi campo, diverrà così parte fondamentale del dato stesso.