L’umanità è ciò che ci connette davvero
Ai tempi del Coronavirus, in che modo la natura umana influenza il nostro modo di ridisegnare i rapporti sociali nel digitale?
Zoom e i suoi fratelli – da Google Meet a Microsoft Teams, per citare solo altri due nomi noti – hanno fatto prepotentemente irruzione nella nostra vita. Non solo quella lavorativa, dove almeno in alcuni casi già si aggiravano con modi un po’ più discreti, ma anche in quella privata. Alzi la mano chi nel corso di questo 2020 non si è ritrovato a fare un aperitivo o celebrare un compleanno in “modalità virtuale”.
In ciascuno frangente abbiamo scoperto che il minimo comune denominatore di questi mezzi di comunicazione è – udite, udite – il fattore umano.
Fattore umano, fattore di connessione
Per capire meglio cosa significa, cominciamo facendo un passo indietro: vi ricordate Robert Kelly, l’analista politico ed esperto di Corea del Sud, che tre anni fa durante un intervento in diretta sulla Bbc divenne famoso per un’imprevista ed esilarante irruzione dei due figli piccoli, inseguiti dalla moglie che tentava vanamente di bloccarli, nella stanza di casa da cui era in collegamento?
Ecco, oggi a bambini, gatti, conviventi che appaiono dietro e davanti a noi e partecipano alle nostre videochiamate sono diventati quasi la norma. Dopo i primi brontolii, lo stress dovuto al gestire pubblicamente queste convivenze, come notava già ad aprile un articolo del New Yorker, abbiamo iniziato a riflettere sul fatto che, tutto sommato, queste “imperfezioni” che, in condizioni ordinarie e anche all’inizio del periodo di quarantena ci scandalizzavano, erano una manifestazione della nostra umanità, del fatto che tutti a modo nostro stavamo vivendo una situazione eccezionale con i suoi problemi o che semplicemente le questioni private e familiari assumevano un nuovo rilievo pubblico e condiviso. L’umanità, insomma, è ciò che, al di là del mezzo, ci ha messo più in connessione.
Oggi tutto questo non è forse routine – la vita resta, per sua natura, imprevedibile – ma oramai stiamo raffinando le nostre tecniche di stare al mondo online: da un lato cercando di darci delle regole, per esempio, su come e quanto usare la videochiamata nel lavoro o su come farla – con la camera accesa, magari, solo per chi ha la parola in un certo momento oppure sostituendola con una email o una telefonata vecchio stile, quando non è indispensabile – come suggerisce Axios.
Ricostruzione digitale dell’umanità
Sul fronte del tempo libero, l’urgenza principale è invece quella, non solo di avere modo di stare insieme ad altre persone, ma di ricreare delle dinamiche, per quanto possibile, più simili alla realtà. Per dire, avete mai partecipato a una festa in carne e ossa dove tutti i partecipanti stanno insieme contemporaneamente? Ovviamente no, perché nella realtà fisica questo non succede. Così, racconta un recente articolo del New Yorker, l’ingegno (umano) degli informatici sta sviluppando o recuperando a nuova vita applicazioni che permettono di creare degli avatar che consentono a chi parla di avere la sensazione di essere seguiti con attenzione, compensando la difficoltà che accade quando si vedono direttamente le altre persone di contatto visivo. Contemporaneamente, chi segue la conversazione dietro un avatar invece che con una videocamera accesa, magari può rilassarsi fisicamente allungandosi sulla poltrona, senza trasmettere involontariamente l’idea di essere “svaccato”. Se invece volete organizzare una festa virtuale, “High-fidelity” è un’app che vi permette di creare un set in una casa virtuale, dove ogni partecipante è un puntino colorato e può spostarsi di stanza in stanza, facendo capannello come più gli aggrada.
Rimedi adattati ai tempi che corrono? Probabile. È interessante e, forse anche consolante, il fatto che la nostra umanità non smetta di trovare nuove vie per manifestarsi, incurante o quasi dei mezzi che usiamo per comunicare.