L’intelligenza emotiva come segreto delle leadership di successo
Il 90% dei top performer nelle organizzazioni ha livelli di intelligenza emotiva più elevati. Le quattro aree da sviluppare secondo Daniel Goleman
“I grandi leader ci fanno muovere. Accendono la nostra passione e ci ispirano a dare il meglio di noi. Quando cerchiamo di spiegare perché sono così efficaci, parliamo di strategia, visione o idee potenti. Ma la realtà è molto più elementare: le grandi leadership lavorano attraverso le emozioni”. È quanto scrive il giornalista e psicologo Daniel Goleman nell’apertura del libro “Primal Leadership – Unleashing The Power of Emotional Intelligence”. Sono passati più di 25 anni dal suo primo bestseller, “Emotional Intelligence”, in cui sviluppò il concetto chiave di intelligenza emotiva. Intesa come la capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri per agire in modo collaborativo e costruttivo. E ora questa capacità sembra essere diventata centrale in ogni organizzazione, soprattutto dopo lo shock provocato dalla pandemia.
Ma soprattutto, come scrive Goleman, lo sviluppo di questo tipo di intelligenza deve riguardare in primis i leader. Che, spiega, sono tali perché prima di tutto “sanno guidare se stessi”.
E in fatto, come racconta Laurie K. Cure, ceo della società di consulenza Innovative Connections, l’intelligenza emotiva è diventata ormai il requisito numero uno per prevedere il successo professionale in tutti i tipi di lavoro. E il 90% dei top performer nelle organizzazioni ha livelli di intelligenza emotiva più elevati, facendo quindi di questa capacità un fattore critico per il successo della leadership.
Soprattutto in un momento di grandi cambiamenti, tra lavoro ibrido e distanze forzate, capacità come l’autoconsapevolezza, l’abilità di creare di fiducia, gestire dei conflitti, ascoltare ed essere empatici si rivelano vitali per mantenere alto il coinvolgimento e lo spirito di squadra nelle organizzazioni.
Ovviamente, tutto questo è più facile a dirsi che a farsi. Sviluppare la nostra intelligenza emotiva, infatti, richiede tempo. Richiede anzitutto di guardare dentro le emozioni che esterniamo e quelle che soffochiamo sul posto di lavoro, così come richiede di lavorare per comprendere le emozioni degli altri.
Goleman ha indicato quattro domini da conquistare: Self Awarness, Self Management, Social Awarness e Relationship Management.
Diventare più consapevole di noi stessi
La capacità di percepire le proprie emozioni e di esserne consapevoli mentre si provano influenza il modo in cui rispondiamo a situazioni specifiche e a determinate persone. Una forte consapevolezza di sé assicura di avere un’immagine realistica di chi siamo e, cosa più importante, di come ci “presentiamo” agli altri. Riconoscere i nostri trigger emotivi e praticare la consapevolezza può aiutare in questo processo.
Un aspetto importante è anche quello di riconoscere i nostri valori personali. La nostra percezione del mondo è costruita infatti più dalla nostra storia che dalla realtà vera e propria. Ma più riusciamo ad avere la mente aperta sulle cose che ci accadono, più possiamo esplorare soluzioni differenti.
Gestire emozioni, stress e ansia
L’autoregolamentazione si riferisce alla gestione delle proprie reazioni emotive e degli impulsi. Coinvolge l’autocontrollo emotivo e la capacità di usare la consapevolezza delle emozioni per dirigere il comportamento, tenendo sotto controllo le emozioni dirompenti.
Il pensiero consequenziale può aiutare in questo processo: immaginare i lati positivi e negativi delle nostre azioni e quindi determinare quale azione sosterrà meglio il risultato desiderato. Basta prendersi una pausa durante le presentazioni e le conversazioni, ad esempio, consentendo al tempo stesso a coloro con cui si sta conversando di elaborare le informazioni.
Riconoscere le emozioni degli altri e sviluppare l’empatia
L’empatia è ciò che ci permette di cogliere il clima emotivo nelle situazioni sociali e di essere in grado di capire cosa pensano e sentono gli altri. Possiamo sviluppare questa abilità attraverso l’ascolto attivo. La capacità di concentrarsi completamente su ciò che viene detto sia verbalmente che non verbalmente ci consente di creare connessioni con gli altri.
Più forti sono le nostre capacità di ascolto attivo, più è facile provare empatia per gli altri e connettersi con loro in base alle emozioni che stanno condividendo con noi. Un altro modo per affinare questa abilità è porre domande. Questo crea spazio per l’empatia, incoraggiando conversazioni più profonde sul lavoro e nelle nostre vite personali.
Abilità sociali
Costruire la fiducia nel rapporto con gli altri aiuta soprattutto quando sorge un conflitto. Una volta stabilita la fiducia con le persone intorno a noi, iniziamo a vedere infatti risultati diversi nelle nostre interazioni e conversazioni. Per creare fiducia con il proprio team, bisogna essere rispettosi, ascoltare cercando di capire i diversi punti di vista e ammettere – quando capita – di aver commesso un errore.
Con la leadership, si sa, i conflitti sono inevitabili. Non serve schivarli. La chiave per risolverli è riconoscerli e studiarli per arrivare a una soluzione rapida e giusta. Questa reazione crea fiducia con la squadra e può fare la differenza tra prestazioni mediocri e di alto livello.
Le critiche
Il pericolo, ha scritto però il New Yorker, è che 25 anni dopo il concetto di “autocontrollo” di Goleman sia stato trasformato in un mero strumento di repressione emotiva e gestione aziendale.
Il lavoro emotivo “trasforma il regno apparentemente privato del sé come un’estensione degli interessi sociali e aziendali”, si legge. Non a caso, una delle soft skill più richieste e valutate oggi nei colloqui – non solo dai selezionatori ma anche dai candidati, soprattutto i più giovani – è anche quella dell’autenticità. Che è una qualità richiesta anche ai leader.
Il lavoro emotivo può diventare una risorsa, insomma, se diventa un approccio vero verso se stessi e gli altri componenti del team e non solo una finta manifestazione emotiva confezionata unicamente per far funzionare la macchina.