Il legame tra innovazione e sostenibilità secondo Mario Calderini
Leggi il contributo di Mario Calderini sul legame indissolubile che c'è tra innovazione e sostenibilità e sull'enorme potenzialità di questo connubio.
L’innovazione non è più un’opzione. Ormai è diventata un fattore di sopravvivenza. O la si mette in atto, o le transizioni verso cui andremo incontro non saranno né ecologiche né giuste. Semplicemente non ci saranno. È la tesi di Mario Calderini, docente di Social Innovation alla School of Management del Politecnico di Milano, e direttore di Tiresia, il Centro di ricerca sull’innovazione e la finanza a impatto sociale. «Dobbiamo prepararci a un futuro in cui innovazione e sostenibilità diventano sinonimi», spiega, «perché questi due elementi hanno la stessa capacità di anticipare i conflitti tra transizione ecologica e sociale attraverso l’investimento in nuove soluzioni».
Con Francesca Bria, Roberto Verganti e Fabrizio Barca, Calderini terrà il corso “Lezioni di economia: l’innovazione, l’impatto, le opportunità”. Una guida all’economia del futuro, attraverso cui si indagheranno i paradigmi, i contesti e le sfide per creare nuovi modi di generare valore economico, sociale e ambientale.
Professore, partiamo però dalle basi. La parola “innovazione” è al centro del dibattito pubblico e si invoca da tempo per risolvere i problemi annosi dell’Italia. Ma come si fa oggi innovazione?
L’innovazione è un processo complesso che richiede un investimento in conoscenza iniziale. Poi, da questi serbatoi di conoscenza, si estraggono le idee che ci servono per risolvere i problemi. Nella storia abbiamo sempre usato un modello semplice in cui si investiva molto in conoscenza, e poi da qui veniva fuori l’innovazione. Non è detto che ora possiamo permetterci ancora questo modello.
Perché il modello di innovazione che abbiamo conosciuto finora non è più valido?
In primo luogo, perché le idee non sono più così abbondanti. Secondo, perché abbiamo nuovi vincoli derivanti dalle grandi sfide sociali e ambientali. Non abbiamo più risorse infinite per soddisfare i bisogni di mercato e delle persone, per cui la sfida oggi è che con risorse scarse dobbiamo risolvere problemi diversi da quelli che abbiamo avuto fino a ieri. E in questo senso, i paradigmi verso cui dobbiamo andare sono quelli dell’innovazione responsabile e inclusiva. Che significa innovare con la consapevolezza di dover rispondere a problemi enormi con risorse scarse.
Sta dicendo quindi che non esiste un processo di innovazione valido per tutte le stagioni.
L’innovazione è un concetto che cambia nella storia. La rivoluzione industriale è iniziata con inventori come Edison e Galvani con la loro creatività hanno dato gratis all’industria la capacità di fare innovazione. Poi le idee sono state generate all’interno dei sistemi industriali. Oggi invece la partita è diventata più sistemica ed è nato il paradigma dell’innovazione aperta, quindi con la possibilità di imparare da varie fonti. E adesso si è aggiunto il paradigma dell’innovazione inclusiva.
Allo stesso modo, l’applicazione dell’innovazione varia da settore a settore?
Certo, non c’è un modo di innovare valido per tutti i settori. Ci sono settori in cui per innovare si fanno grandi investimenti in ricerca e sviluppo e si seguono processi lineari di innovazione, altri in cui valgono modelli innovazione diversi. Come copiare modelli esistenti, mutuare i processi da altri settori o imparare dai fornitori. Ci sono modi diversi di innovare, anche se non sempre la nostra capacità di accompagnarli con le politiche giuste è stata adeguata a questa varietà.
Dunque come può innovarsi, oggi, il settore culturale?
Tutte le tecniche di trasformazione digitale e realtà virtuale e aumentata sviluppate in settori diversi sono facilmente trasferibili al settore dei beni culturali, ottenendo tra l’altro risultati inclusivi. Ad esempio, si possono far fruire i beni culturali a persone che altrimenti non avrebbero la possibilità di farlo fisicamente. Dall’altro, una tecnologia come la realtà aumentata consente agli autori di realizzare installazioni in contesti in cui non sarebbe possibile per loro farlo. E questo democratizza l’offerta. Un’altra tecnologia importante poi è la stampante 3D: ci sono applicazioni interessanti per sculture o opere architettoniche che consentono alle persone non vedenti di godere di queste esperienze.
Ma quanto conta la tecnologia nell’innovazione e quanto il fattore umano, organizzativo, culturale?
Da un lato, possiamo dire che tecnologia e digitale sono tutto. Se non ci fosse stato un progresso enorme della tecnologia, non avremmo avuto processi di innovazione sociale responsabile e inclusiva. Senza nuove tecnologie, insomma, staremmo parlando di cose vecchie di 50 anni. Dall’altro lato, però, le stesse opportunità tecnologiche se non incorporate nei processi trasformativi immateriali – quindi la capacità di innovare con la società, di innovare modelli di business o nelle risorse umane – non avrebbero prodotto alcun tipo di innovazione sociale. Questi sono fattori abilitanti decisivi per realizzare il vero valore ambientale e sociale.
Fare innovazione quindi richiede in primis competenze digitali. E in Italia non siamo messi proprio bene, a guardare i dati.
In Italia c’è un problema importante di competenze digitali non solo per sviluppare innovazione ma anche per fruire della stessa innovazione. E questa ovviamente è una questione a cui il Recovery Plan sta cercando di porre rimedio.
Ma da sole le competenze digitali non bastano.
In questo momento non possiamo più accontentarci delle competenze che normalmente venivano acquisite da chi studiava tecnologie o scienze dure. Serve una lettura trasversale di questi domini tecnologici, la capacità di farli interagire con le persone e sviluppare i legami complessi che ci sono tra tecnologie, innovazione e trasformazioni sociali ed economiche. Dieci-quindici anni fa mai avremmo pensato che un espero di linguistica potesse essere portatore di conoscenze decisive per lo studio di algoritmi e intelligenza artificiale, o che le competenze filosofiche sarebbero state decisive per le implicazioni etiche che le tecnologie stanno portando avanti. Oggi per fare innovazione servono tanto le competenze di lettura trasversale della realtà quanto quelle di dominio verticale sulla tecnologia.
Quanto conterà, infine, l’innovazione per la transizione ecologica verso cui il mondo sembra avviarsi?
Dobbiamo prepararci a un futuro in cui innovazione e sostenibilità diventano sinonimi, perché questi due elementi hanno la stessa capacità di anticipare i conflitti tra transizione ecologica e sociale attraverso l’investimento in nuove soluzioni. Sarà questa la chiave di volta del nostro futuro.