L’immagine e l’arte di immaginare
La parola immagine la associamo istintivamente all’atto del vedere, ma si riferisce più letteralmente all’atto dell’immaginare, spiega il fotografo
L’arte di immaginare
Immaginare, nel suo significato etimologico di coniugare immagini, è l’azione più importante per qualunque fotografo, e non solo. Immaginare per un fotografo è come correre per un atleta. È la linfa vitale di chi mette per immagini la realtà che lo circonda. Immaginare è un valore aggiunto alle realtà.
Immaginare significa avere una grande disciplina, determinazione, motivazione e, soprattutto, il coraggio di spogliarsi di tutto e non essere assillati dal furore creativo di avere un’idea. Immaginare è la mente libera che porta alla progettualità.
Tutti quelli che nel loro ambito fanno il proprio lavoro in modo eccellente, lo fanno immaginandolo. Il fotografo come l’imprenditore, il politico come l’operatore ecologico, il maestro come la prostituta. Immaginando, si mette, si toglie, si sposta, si cancella, e così via, finché si trovano soluzioni che adesso non ci sono, piccoli miglioramenti o grandi rivoluzioni, salti di progresso.
Forse l’immaginazione non è chic perché costa troppo poco. In un certo senso è la rivincita del povero, che ha molte più chance di immaginare rispetto al ricco. L’immaginazione viaggia veloce verso ciò che non si è mai visto, non si ha mai avuto o provato, o verso qualcosa che non c’è ancora, che si può inventare e creare. Non c’è niente di immaginifico nel fare shopping, il potere d’acquisto toglie potere all’immaginazione. Bisogna quindi aiutare a sognare chi nasce ricco, perché parte con un handicap e ha molte meno possibilità di immaginare con qualità di chi ha fame di tutto.
Forse l’immaginazione è uno shock perché se ne frega anche della legalità. È un’attività scorrect, e una delle poche che non si possono togliere a nessuno, neanche al disadattato, all’abbandonato o al criminale incarcerato, costretto anzi a usare l’immaginazione per evadere un po’ dal quotidiano. Immaginare bene è un atto di ribellione e un grande privilegio. Ma anche una responsabilità creativa: per creare immagini che abbiano senso di essere create occorre tornare a imparare a immaginare ciò che oggi sembra inimmaginabile.
L’immagine
Come tutte le cose belle della vita, l’immagine ha chiaramente diverse sfumature. La prima e più ovvia accezione riguarda la percezione della realtà che ci circonda, grazie al dono della luce. Chiamiamola immagine oggettiva per semplicità, anche se è paradossale perché in pratica altro non è che l’inquadratura soggettiva che i nostri occhi producono incessantemente, mettendo la scena davanti a noi a fuoco e stabilizzandola per il nostro cervello, nonostante il continuo movimento della testa.
Più spesso, l’immagine è però riferita a una riproduzione per mano umana della realtà. Un vaso di frutta, un tramontino montano, un ritratto, un bel castello, ecc. Se diverse persone fanno una foto con il loro smartphone a un oggetto, otterranno ovviamente tutti un’immagine dello stesso. Ma qualcuno l’avrà inquadrato da vicino, qualcuno di sbieco, qualcuno dall’alto, qualcuno avrà invece colto la ragazza con i capelli rossi che passa sullo sfondo.
È la scelta di questi dettagli che determina il punto di vista personale, ossia un’immagine soggettiva. E, come sempre dico, «nessun dettaglio è piccolo». Se questa scelta diventa costante e a suo modo unica, s’inizia a parlare di stile.
Questo ci porta a un altro tipo d’immagine: l’immagine creata. Facciamo finta che la ragazza rossa sullo sfondo voglia fare la pop-star. La mettiamo in posizione, capiamo cosa ci colpisce, la aggiustiamo qua e là, le cambiamo camicia, acconciatura, trucco, decidiamo uno sfondo, le luci, l’inquadratura… ed eccola: proprio come piace a noi! Abbiamo iniziato a concepirne l’immagine. Ecco perché si dice creare l’immagine di un politico, di un personaggio pubblico, o di brand.
L’ultima accezione di immagine, la più complicata e post-moderna, non riguarda la realtà che vediamo ma qualcosa che (ancora) non c’è: chiamiamola l’immagine mentale. La cosa interessante è che questo tipo d’immagine non c’è ma esiste, esiste in funzione di un rapporto futuro tra chi la sta pensando e chi la vedrà: è un insieme di attese, pregiudizi, promesse, speranze, intenzioni, informazioni e codici condivisi. Capite la potenza? La parola immagine, appunto, la associamo istintivamente all’atto del vedere ma si riferisce più letteralmente all’atto dell’immaginare.
Immaginare è anche astrazione ipotetica, sul piano dell’intelletto, del sentimento, dei sensi. Quando sono di buonumore, la mattina, accosto la mia Panda 4x4 al pollaio, chiudo gli occhi e inizio a pensare timidamente all’aria della Traviata. A poco a poco, lontano da occhi, orecchi e cellulari indiscreti, la mia voce magicamente… si trasforma. Dopo pochi fraseggi, ha assunto un timbro quasi perfetto. Diventa potente e libera. Gioca a nascondino con gli archi, fraseggia con un suono limpido che potrebbe essere un oboe, e alla fine sovrasta ogni strumento, raggiunge tonalità inaspettate… e poi riempie la collina di potenza e armonia. Non per vantarmi, ma la mia voce, a tratti, è migliore di quella di Pavarotti e Domingo messi insieme. Poi riapro gli occhi. La musica si è dissolta e più torno a pensarci più diventa difficile tenere traccia di quella magnifica sinfonia. Senza perdere tempo, inizio ad emettere le prime note, questa volta con la bocca, non con la mente. Esce il solito raglio sgraziato, e i polli iniziano a chiocciare…
Ringraziamo Oliviero Toscani per il contributo.