Il teatro in carcere
Ovvero, quando la scuola può cambiare la vita e dare, attraverso l’arte, nuove opportunità anche a chi sconta una pena
La scuola è ciò che fa la differenza nella vita delle persone e, a volte, è ciò che permette a una vita di ripartire da zero. È la storia di molti detenuti ed ex detenuti che hanno potuto frequentare laboratori teatrali ed esperimenti di formazione artistica professionale. Per molti di loro, una volta usciti, il teatro è diventato una professione, e i dati confermano che i casi di ex detenuti che commettono nuovi reati calano drasticamente tra coloro che hanno fatto teatro in carcere.
Dall’espiazione alla formazione
Oggi può sembrare scontato che i detenuti possano imparare un mestiere o fare laboratori d’arte, ma per tanto tempo l’idea è stata che il carcere dovesse essere solo il luogo di espiazione di una pena. Un purgatorio fatto di attesa, isolamento e costante preoccupazione, dove prendere coscienza dei propri errori.
Solo nel XX secolo si fa strada l’idea del carcere come scuola, un posto per risocializzare e istruire le persone. In Italia, la Legge Gozzini del 1986 ha previsto l’introduzione di corsi di studio, di formazione professionale e attività culturali e ricreative all’interno del carcere, tra cui il teatro. L’iniziativa non ha risolto tutti i mali, e i limiti del sistema carcerario italiano restano evidenti: ci sono problemi enormi di sovraffollamento, solitudine, violenza, ma negli anni si sono moltiplicate le iniziative positive e i margini di crescita.
Quando arriva Godot
Nel mondo, il teatro in carcere come ricerca artistica e indagine sull’interiorità ha una data di nascita: il 19 novembre del 1957. Quel giorno, nella prigione di San Quentin, a San Francisco, venne messo in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett. Tra il pubblico c’era anche Rick Cluchey. “Quando lo vedemmo in carcere per la prima volta - disse in un’intervista del 1984 - Godot suscitò in noi detenuti un entusiasmo travolgente. In fondo è un testo sulla condizione umana, sulla persona. [...] La nostra vita consisteva nell’aspettare la fine della pena, aspettare le visite dei parenti, aspettare il rancio o semplicemente aspettare dietro le sbarre. L’impatto con questo testo fu, insomma, notevole". Da quell’esperienza nacque il San Quentin Drama Workshop, la prima compagnia composta da soli detenuti. Rick Cluchey fu uno dei suoi membri più importanti, tanto da guadagnarsi la scarcerazione per meriti artistici nel 1966. La sua vita fu uno straordinario percorso artistico che lo portò addirittura a stringere amicizia con Beckett e avviare con lui una collaborazione per molti anni.
Scene italiane
In Italia, le prime esperienze di teatro in carcere – e di produzione di spettacoli rivolti a un pubblico esterno – risalgono agli anni Ottanta. Il 5 luglio 1982 (un giorno che molti ricordano per la tripletta di Paolo Rossi al Brasile), per la prima volta un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia, dotati di speciali permessi-premio, si esibì fuori dal carcere mettendo in scena Sorveglianza speciale di Jean Genet, alla Rocca Albornoziana di Spoleto. Fu un evento storico, ma fu soprattutto un primo incontro tra due mondi – i detenuti e la società civile – che fino a quel momento si erano tenuti a distanza.
Da quel momento il teatro, oltre che pratica terapeutica e risocializzante, è anche una prospettiva occupazionale per chi sta in carcere e per chi, un domani, ne uscirà. Tra le esperienze nate in quegli anni ci sono istituzioni importanti come il Centro studi Enrico Maria Salerno, famoso per il film Cesare deve morire diretto dai fratelli Taviani, e la Compagnia della Fortezza, nata come progetto di Laboratorio Teatrale nella Casa di Reclusione di Volterra nel 1988, a cura dell’associazione Carte Blanche e con la direzione di Armando Punzo.
Il lavoro teatrale
Il lavoro della Compagnia della Fortezza è assiduo e continuativo e si avvale della collaborazione di insegnanti, educatori, psicologi e operatori teatrali. Stando alle intenzioni di Armando Punzo, oltre alle finalità trattamentali, rieducative e risocializzanti, l’obiettivo è lavorare “nell’interesse del teatro e delle arti e dei mestieri del teatro”. Il lavoro principale è, dunque, fare teatro e ricerca teatrale allo scopo di andare in scena. E la compagnia va in scena con uno spettacolo almeno una volta l’anno, da trent’anni.
Vengono messe in scena opere inedite, ispirate agli scritti e al pensiero dei più importanti drammaturghi. Gli spettacoli nascono da un’indagine artistica originale e prendono spunto dalle esperienze degli attori-detenuti. Dal 1993 vengono presentati al pubblico anche al di fuori del carcere e la Compagnia è spesso ospite di teatri e festival. Dal 2003 l’attività teatrale è riconosciuta come attività lavorativa a tutti gli effetti: un passo fondamentale, che dà dignità al lavoro degli attori, fino a quel momento costretti a usare permessi-premio speciali per poter andare in scena fuori dal carcere.
L’esempio positivo della Compagnia della Fortezza è seguito anche in ambito internazionale. Da anni è in atto una collaborazione tra la Compagnia e la regista Zeina Daccache, che si occupa di portare le pratiche di ricerca teatrale e artistica tra la popolazione carceraria del Libano, spaccata dalle differenze religiose e sfiancata dal costante sovraffollamento.
Tra gli obiettivi futuri della Compagnia c’è quello di esibirsi fuori dall’Italia, portando la propria ricerca a un pubblico internazionale, e quello ancora più importante di dare vita al Teatro Stabile in Carcere, primo al mondo del suo genere.
Oltre la vecchia idea di carcere
Oggi sono decine le compagnie e le associazioni teatrali attive nelle carceri italiane. Sono esperienze formative, professionalizzanti e di ricerca artistica, ma anche qualcosa di più: sono, a tutti gli effetti, occasioni di incontro, di conoscenza di sé e di scambio con gli altri. Aiutano a cancellare la vecchia concezione del carcere come gabbia dove rinchiudere persone che hanno sbagliato (e l’idea stessa che siano criminali da punire), e danno la possibilità ai detenuti di immaginare altre vite e altre possibilità, per sé e per gli altri, in futuro. Una scuola per capire chi si è davvero e cosa fare “dopo”.