Il dietro le quinte dei podcast. Intervista a Benedetta Cariolaro e Antonio Pastore
Cosa serve, nel concreto, per fare un podcast? Ce lo raccontano Benedetta Cariolaro e Antonio Pastore, partecipanti delle scorse edizioni della Factory del Podcast.
Sul lavoro dietro a un podcast c’è molto da scoprire. In attesa della partenza della nuova Factory del Podcast – vera e propria Scuola del Podcast di Feltrinelli Education curata da Giulia Laura Ferrari, per approfondire ogni aspetto legato al podcasting, dall’ideazione e scrittura fino al montaggio e promozione – abbiamo chiacchierato con chi la Factory l’ha frequentata e ha potuto sviluppare la propria idea durante il percorso: Benedetta Cariolaro e Antonio Pastore.
Come è iniziato il tuo interesse per il mondo podcast e quando hai capito che avresti voluto crearne uno?
Benedetta Cariolaro: Per me è stato spontaneo passare dalla radio ai podcast. Il mio interesse è iniziato con “Da Costa a Costa” di Francesco Costa durante le elezioni americane del 2020: da quel momento in poi non ho più potuto farne a meno e mentre disegno ho sempre un podcast in sottofondo.
Ho capito che avrei voluto crearne uno mio quando ho sentito la necessità di scrivere del mio lavoro. Architettura e podcast erano le mie passioni: perché non avrei dovuto unirle? In questo modo ho la possibilità di scrivere, studiare, occuparmi del montaggio audio, dell’editing e conoscere persone stimolanti e interessanti di entrambi i settori.
Antonio Pastore: In realtà mi sono appassionato al podcast per puro caso: avevo una storia da raccontare, quella che ho vissuto personalmente e di cui tratterà il mio podcast. All’inizio avevo difficoltà a trovare il canale giusto, e non era il momento per scriverla e farla leggere. È una storia che ha bisogno di essere narrata da chi ha vissuto determinati episodi.
Ecco, così mi sono avvicinato al mondo del podcast: sapendo che c’era questa possibilità, ho iniziato ad ascoltarne alcuni e ho capito che questo era esattamente il formato e il canale giusto per quello che avevo da raccontare.
Qual è stato, per te, il valore aggiunto della Factory del Podcast e come descriveresti il tuo percorso?
BC: Durante la Factory del Podcast ho appreso un metodo di lavoro e molte informazioni utili relative alle diverse fasi della produzione di un podcast: dalla scrittura, passando poi al montaggio, fino alla pubblicazione. Le lezioni sono state veramente interessanti e confrontarmi con i professionisti del settore è stato appassionante e stimolante.
Giulia Laura Ferrari è una tutor professionale e disponibile e il suo aiuto è stato per me indispensabile per capire che direzione volevo dare al mio lavoro. Sono state fondamentali anche le lezioni con Jonathan Zenti perché ha dato importanza sia alla parte creativa che a quella pragmatica. Abbiamo poi ragionato su aspetti che nella progettazione di un podcast sembrano marginali ma in realtà non lo sono affatto: ad esempio come avverranno le registrazioni, quando usciranno le puntate, quali social saranno collegati e come monetizzare il nostro lavoro. Ho adorato in particolare le lezioni di Matteo Caccia, Flavia Trupia e Paolo Corleoni: andando avanti nel corso ci si accorge che fare un podcast è un lavoro complesso e con diverse sfaccettature, ma i loro interventi ci hanno fatto capire che con molto impegno è possibile arrivare a raggiungere l’obiettivo finale.
L’esperienza fatta durante la Factory mi ha arricchita sicuramente da un punto di vista professionale perché mi ha dato tanti spunti per iniziare ad approfondire temi come la scrittura, parlare in pubblico, fare un montaggio audio, preparare un’intervista. Poi è stata utile anche a livello personale, poiché in certi casi ho dovuto sconfiggere la mia timidezza e perché, dovendo confrontarmi con nuovi ambiti, mi ha dato l’occasione di buttarmi e sentirmi più sicura, scoprire parti di me che non conoscevo e che adesso voglio assolutamente continuare a coltivare.
AP: La Factory mi ha dato modo di capire come si fa un podcast. Mi ha fornito gli strumenti e le competenze per comprendere come si pensa, come si scrive, come si produce e come si monta un episodio. E soprattutto mi ha permesso di conoscere altre persone, ognuna con una storia da raccontare diversa e interessante.
Anche i docenti sono stati fondamentali: credo che per me Giulia Laura Ferrari sia stato il vero valore aggiunto di questo percorso. Quando ha ascoltato la mia storia mi ha incoraggiato da subito a scriverla, di non avere paura di scrivere, anche perché poi avrei comunque potuto decidere di non raccontarla e non pubblicarla. Però ha capito che forse io avevo proprio voglia di raccontarla a tutti e quindi mi ha guidato fino alla fine del percorso. Anzi, direi anche dopo. E anche ora.
Ci racconti dell’idea che hai sviluppato durante la Factory?
BC: Il titolo del mio podcast è “Il nostro spazio”. Quando si parla di architettura d’interni solitamente si approfondiscono temi riguardanti la funzionalità degli spazi e l’estetica e, molto spesso, il rapporto tra noi e il nostro spazio passa in secondo piano. Invece il progetto d’interni dovrebbe trattare anche di psicologia dell’abitare, ispirarsi al nostro vissuto, alla nostra complessità e unicità e non solo a un’immagine presa da Pinterest o a una copertina patinata.
Intervistando specialisti della psicologia dell’abitare e architetti voglio indagare la relazione che esiste tra la nostra casa e il nostro benessere. Questo racconto si sviluppa come un viaggio che parte dallo spazio più pubblico delle nostre abitazioni fino al più intimo, riflettendo sul significato che ogni ambiente ha nelle nostre vite. L’obiettivo di questo podcast è cercare di stabilire delle linee giuda che possano essere un punto d’inizio per definire lo spazio che ci farà sentire veramente a casa nostra: il nostro spazio appunto.
AP: È la mia storia personale. Uno direbbe “ok, ma chi sei, Napoleone... Giovanni Paolo II?” No. E, proprio per questo motivo, sono io che ve la devo raccontare. Il podcast a cui sto lavorando si intitola "Di me non sai" e tratta della mia dipendenza digitale e di come per 20 anni ho vissuto dietro a degli schermi, mi sono rifugiato e nascosto dalla vita reale. E mi sono nascosto dietro infinite identità.