Il content writing in un mondo che cambia. Intervista a Emanuele Giraldi
Che impatto hanno avuto il digitale e le sue innovazioni su di noi e sul modo in cui ci occupiamo (e ci occuperemo) di comunicazione e marketing? Ce ne ha parlato Emanuele Giraldi, manager pubblicitario e CEO di Hearts & Science.
La scrittura e lo storytelling continuano a essere competenze fondamentali per chi lavora come content writer o copywriter, figure che, muovendosi nell’ambito della comunicazione e del marketing, non scrivono mai per sé, bensì per target e obiettivi specifici. Quando poi lo fanno online e sui social, allora bisogna aggiungere un tassello in più, ossia la necessità di stare al passo con cambiamenti e innovazioni continui e di creare contenuti di valore per catturare un bene sempre più scarso: l’attenzione delle persone. Della comunicazione e delle professioni che ruotano attorno ai contenuti digitali e del loro futuro, ce ne parla in questa intervista Emanuele Giraldi, manager pubblicitario e CEO dell’agenzia media Hearts & Science, in attesa di approfondire questi – e molti altri – argomenti durante il corso di content writing per i nuovi media.
Perché abbiamo iniziato a comunicare?
Prima di tutto, direi che spesso si usa il termine comunicare quando invece si vuole intendere parlare. Ma se anche tralasciassimo l’importantissima sfera della comunicazione non verbale – che nell’ambito della pubblicità rappresenta una significativa componente del messaggio pubblicitario –, e lasciassimo da parte l’errore di usare comunicare per parlare, comunque l’accezione che diamo alla parola comunicazione non prende quasi mai in considerazione l’aspetto più importante dell’atto in sé del comunicare: vogliamo essere ascoltati. E non sempre, appunto, usiamo le parole.
Quei nostri antenati che con bastoncini di carbone o ciottoli, nella penombra di una caverna, disegnavano sulle pareti le scene della loro avvincente vita o le prime forme di una rappresentazione familiare che poteva essere ricondotta all’amore… Anche loro segnavano i muri affinché qualcuno quei tratti li guardasse, magari con attenzione. Ma sicuramente non potevano prevedere con quanta attenzione li guardiamo noi oggi, meravigliati dalla semplicità di segni duri che in qualche modo ci trasmettono l’odore di una vita selvaggia, nomade e animista che oggi immaginiamo con tutta la nostra fantasia per sentirci parte della stessa Storia che, come un unico filo rosso, cuce tutte le generazioni.
E la generazione di oggi sembra che comunichi quasi troppo: il mondo digital e social è saturo?
C’è una comunicazione a cui si presta attenzione, che è quella che interessa, e una a cui non si presta attenzione: quest’ultima non solo è inutile, ma anche dannosa.
A differenza di quanto si possa credere, se paragonati al nostro antenato che lasciava dietro di sé le scene di caccia nella caverna, noi non abbiamo un cervello molto diverso. La nostra capacità di processare le informazioni, di distinguerle e memorizzarle, è rimasta sostanzialmente invariata. Eppure, la quantità di dati che riceviamo, processiamo e immagazziniamo nel tempo è aumentata vertiginosamente. Solo negli ultimi vent’anni, con l’avvento del digitale, abbiamo superato le 30.000 esposizioni di marca al giorno: significa che un individuo deve processare decine di migliaia di informazioni legate solamente all’associazione tra una marca e la sua promessa. È facilmente deducibile che questa cosa non avviene, se non per una minuscola percentuale del montante totale di sollecitazioni che riceviamo. E tutte quelle che non ricordiamo, che fine fanno? Tutta la comunicazione a cui non prestiamo attenzione genera un rumore di fondo, un inquinamento cognitivo che non solo rovina la nostra giornata, ma anche il nostro pianeta perché, per ogni banner, video o spot che vediamo, ci sono emissioni di CO2 che finiscono nell’ambiente per il solo trasferimento delle informazioni sui canali di comunicazione.
In un mondo in cui l’attenzione è la risorsa più scarsa che c’è, trovare il modo giusto per comunicare è l’unica leva che si ha, non solo per ottenere l’attenzione di qualcuno ma anche per non peggiorare la qualità della vita sul nostro pianeta.
Come definiresti la professione di content writer e di quali competenze non può fare a meno?
Scrivere per la comunicazione significa trovare il linguaggio espressivo con cui rompere la barriera di diffidenza che c’è tra audience e pubblicità, attirare l’attenzione e poi trasferire un messaggio che cambi il comportamento di chi lo ha ricevuto. Sono diversi passaggi che richiedono per prima cosa la conoscenza del contesto in cui si comunica, in modo da ricalcare o distanziarsi dagli schemi tipici di quel canale.
Significa anche riuscire a interpretare il bisogno delle persone, costruendo con loro un legame che si esprime attraverso l’immedesimazione dell’individuo nella comunicazione. E vuol dire anche, infine, focalizzare l’attenzione delle persone verso il o i vantaggi che quella determinata comunicazione promuove, sperando che siano proprio quelle “supporting evidence” a indurre nel ricevente il tanto agognato cambio di comportamento.
Diventare content writer significa tutto questo: conoscere il contesto sociale, le regole che dominano i canali, i bisogni razionali ed emotivi che hanno le persone e le promesse tangibili o intangibili che si possono fare.
Lavorare online significa anche doversi adattare a cambiamenti rapidissimi, il che richiede tempo, voglia e impegno nel tenersi in costante aggiornamento per stare al passo.
Quale sarà, secondo te, il futuro delle professioni che ruotano attorno ai contenuti digitali?
Questo lavoro – così come altre discipline che maturano nell’emisfero creativo – richiede una forte predisposizione al cambiamento. I differenti media mutano sensibilmente la modalità con cui una comunicazione si riceve e si percepisce. È quindi necessario che, quando si immette una comunicazione in un mezzo, si conosca quale sia il suo innato effetto “distorsivo”. Una campagna sui social network non può avere la verbosità di una quarta di copertina di un libro: la prima deve essere catturata in pochi istanti, la seconda si può leggere anche in mezzo minuto. Ma al di là delle differenze fra canali, c’è anche da tenere conto della continua evoluzione del pubblico, che matura nella conoscenza di un mezzo e crea un proprio paradigma di selezione che deve essere conosciuto e compreso.
La tecnologia avanza e così deve fare la comunicazione. Nuove frontiere – come il gaming o la realtà virtuale – richiederanno la capacità di scrivere contenuti che non sono solo multimediali ma anche multisensoriali. L’integrazione onlife della vita nel Metaverso reclamerà la capacità di scrivere contenuti che si possano trascinare con sé da un mondo all’altro come fossero etichette transmediali. Poi, con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa, i contenuti scritti dalle persone dovranno essere in qualche modo percepiti come veri, differenziandosi da fake e deepfake che spopoleranno molto presto. Un universo, il nostro, che non aspetta chi non si adatta.
Daresti cinque consigli di lettura per chi vuole scrivere digitale?
Thinking Fast Thinking Slow di Daniel Kahneman;
The Social Organism di Oliver Luckett;
L’inevitabile di Kevin Kelly;
Creare successi di Derek Thompson;
The Onlife Manifesto di Luciano Floridi.