Il cibo stampato in 3D sarà il cibo del futuro?
La sinergia tra innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale sta già cambiando il nostro cibo – e forse riuscirà a cambiare anche il nostro modo di pensarlo.
Quando, nel 1988, il famoso brevetto di Scott Crump aprì le porte alla tecnologia della stampa 3D nessuno avrebbe immaginato che, solo 30 anni dopo, quella stessa tecnologia ci potrebbe permettere di stampare perfino quello che mangiamo.
Perché oggi la stampa 3D alimentare non solo è un’idea plausibile, ma una effettiva realtà con cui avremo presto a che fare.
Come si stampa il cibo in 3D
Come nella classica stampa 3D, anche nel caso della stampa alimentare viene creato un oggetto tridimensionale a partire da un modello digitale. Il processo prevede la deposizione, strato dopo strato, di uno speciale inchiostro a base di ingredienti alimentari.
Un inchiostro può essere costituito dagli ingredienti più semplici - cioccolato, formaggio, purea di frutta e verdura - ma anche vere e proprie miscele di nutrienti disegnate ad hoc. Con questi è possibile creare dal nulla una pietanza e personalizzarla al massimo in termini di forma, aspetto, contenuti nutrizionali e sapore. In alcuni casi, anche in modo più profondo rispetto a quanto consentono le tecniche tradizionali.
Ma le possibilità creative non sono il solo motivo per cui questa tecnologia sta guadagnando rapidamente visibilità. Oltre il divertissement tecnologico per chef annoiati, si nasconde infatti un inaspettato fuori menù: una serie di potenzialità che potrebbero rivoluzionare l'impatto ambientale della nostra alimentazione.
Stampa 3D per lo spreco zero
La Global Food Challenge, la prospettiva di dover sfamare 10 miliardi di persone entro il 2050, richiede meno sprechi e soprattutto nuove soluzioni alimentari più efficaci di quelle esistenti. E la stampa 3D potrebbe rappresentarne una: la forma originaria dell’ingrediente viene completamente resettata, permettendo quindi di utilizzare materie prime che altrimenti verrebbero scartate.
Un esempio? Frutta e verdura rovinate o dalla forma irregolare, normalmente gettate via nella grande distribuzione, possono trovare una nuova vita negli inchiostri della stampa 3D. Allo stesso modo possono essere trattate le bucce di vegetali, o i frammenti di carne e pesce in eccesso dalle lavorazioni per filetti o burger.
Mangiare sostenibile
Ma non è tutto. Questa tecnologia permetterebbe di ampliare le nostre fonti alimentari, soprattutto proteiche, in maniera sostenibile e senza sostanziali stravolgimenti nei nostri menù. Negli ultimi anni, sono infatti stati messi a punto degli analoghi della carne che ne ricreano struttura e sapore in maniera quasi perfetta, ma che sono interamente vegetali o che contengono proteine animali a più basso impatto ambientale.
Non solo quindi bistecche stampate 3D a base di proteine di soia, ma – perché no? – anche di insetti, una materia prima estremamente promettente dal punto di vista nutrizionale e ambientale. Basti pensare al fatto che, per produrre 1kg di proteine da insetti (nello specifico da grilli), le emissioni di gas serra sono circa 140 volte inferiori a quelle legate alla produzione di 1kg di proteine di manzo.
Il futuro della stampa 3D è nei nostri piatti
Certo, le prospettive sono interessanti. Tuttavia, introdurre la stampa 3D nei nostri menù a queste condizioni significa scontrarsi con un problema molto concreto: saremmo disposti a cambiare così profondamente la nostra idea di cibo in nome dell’amore per l’innovazione e della sostenibilità ambientale?
Prima o poi dovremo rispondere a questa domanda spinosa, ma non proprio a stretto giro. Alla stampa 3D servirà ancora qualche anno per perfezionarsi e per raggiungere volumi di produzione competitivi con quelli tradizionali. Ma iniziare a pensarci da ora, un po’ per volta, non fa male.
Chiara Biagini ha frequentato la seconda edizione del nostro corso in Giornalismo scientifico: teoria e tecniche di divulgazione.