Creare luoghi aperti: il futuro della cultura secondo Paolo Verri
Il lavoro del manager della cultura è cruciale non solo nell’organizzazione degli eventi, ma anche - e soprattutto - nelle possibilità che gli eventi culturali creano per la città e i cittadini.
Direttore del Salone del Libro a soli 27 anni, direttore dell’AIE Associazione Italiana Editori, ideatore del programma “Per un pugno di libri”, direttore del Comitato Italia 150 e di Matera 2019, ma anche l’impegno per la rigenerazione urbana e il piano strategico cittadino: il curriculum di Paolo Verri è incredibile per profondità e successi. Non potrebbe esserci rappresentante migliore della squadra di docenti del nostro Executive program universitario in Organizzazione di eventi e festival culturali, in partnership con il MIP - School of Business del Politecnico di Milano.
Il primo estratto dall’intervento di Paolo Verri al nostro open day:
Mi occupo di una cosa fondamentale: il mio lavoro è fare in modo che gli altri siano felici [...] e si tratta di un lavoro sia artigianale che editoriale. Perché per arrivare al visual data management, bisogna aver studiato: dai codici miniati fino a McLuhan, fino alle tecniche della biotecnologia contemporanea. Per comunicare oggi dobbiamo conoscere l’immensamente grande e l’immensamente piccolo.
[...] In particolare, in questo periodo, mi occupo di raccontare come abbiamo trasformato Matera - una città piccola, bellissima e lontana da tutto - nella protagonista dei primi 14 minuti dell’ultimo 007. E siamo arrivati a questo posizionamento non attraverso attività turistiche, ma attraverso attività culturali.
È una cultura che cambia, ma è anche una cultura che ci cambia. Però è vero che è una cultura che sta profondamente cambiando: non è più la cultura della società dello spettacolo di Guy Debord, non siamo più in una situazione in cui qualcuno produce e qualcuno consuma, ma tutti co-creiamo contenuti, tutti noi li condividiamo — certe volte con maggiore consapevolezza, certe volte con minore consapevolezza.
Il lavoro principale, oggi, è quindi capire come riorganizzare le relazioni, i contenuti e gli obiettivi, in modo tale che i prodotti culturali non siano solo marketing, siano prodotti veri che facciano sì che i luoghi in cui abitiamo rimangano tali, non si trasformino e non perdano la verità che cerchiamo di dare loro, anzi aumentino di verità.
Contemporaneamente, questi luoghi devono poter essere fruibili anche da persone che non hanno sempre abitato questi spazi, che non ci vanno per orgoglio o per identità: per questo abbiamo coniato, per il primo dossier di candidatura di Matera, il concetto di cittadinanza temporanea. Visto da lontano, può essere interpretato come “ciascuno di noi è passeggero sulla terra, siamo cittadini temporanei di tutto”, con il suo concetto di temporalità — perché per fare eventi non bisogna solo studiare letteratura, visual data, biotecnologie o marketing, ma anche la filosofia, da Sant’Agostino a Paul Ricœur, e l’etica.
Non dobbiamo consentire di strumentalizzare le cose che noi facciamo, dobbiamo anzi rendere i cittadini profondamente consapevoli. Come? Considerando anche i cittadini permanenti di un luogo, coloro che lo abitano perché lo hanno scelto, perché vi risiedono da generazioni o perché c’è una tradizione di relazioni che li lega a quel luogo. Mettere insieme l’esperienza lunga e l’esperienza temporanea è assolutamente fondamentale per non andare incontro a effetti contraddittori rispetto alla storia delle città, specialmente quelle fortemente orientate a produzioni culturali, com’è accaduto a Barcellona.
Il 10 luglio del 1992 Pasqual Maragall i Mira inaugura le Olimpiadi con un discorso inaugurale bellissimo, che dice: «Oggi siamo felici perché abbiamo aperto questa città al mondo e noi, attraverso la cultura, siamo una città-mondo. Il nostro progetto culturale di città fa sì che abbiamo potuto aprire la città al mare, dislocare le funzioni in diverse parti della città, portare persone a lavorare in questi luoghi. Tutto questo è stato fatto con un piano strategico: non abbiamo deciso noi, ma abbiamo invitato tutti a discuterne e, attraverso la media ponderata delle scelte, abbiamo costruito un progetto complessivo». Non è una questione di destra o di sinistra, ma di luoghi aperti e luoghi chiusi.
Chi si occupa di management culturale si nutre del fatto che tutti i posti sono aperti e percorribili, che non c’è niente che non possa essere scelto da qualcuno e non c’è qualcuno che non possa andare in un luogo, non c’è divieto nell’universo della cultura. Anzi, c’è un solo divieto: non si può abrogare il dialogo.