Come sta cambiando il ciclo lavorativo e come stare al passo
Abilità umane, mobilità, formazione continua e ageismo sono le sfide che dovremo affrontare nei prossimi per costruire le nostre carriere.
C’era una volta il “posto fisso”... potrebbe cominciare così un racconto - non troppo di fantasia, a dire il vero - riguardo a come sia cambiato il percorso lavorativo negli ultimi anni negli ultimi due decenni. In particolare, racconta Dawn Graham, recruiter e career coach, in un intervento su Forbes, solo negli ultimi due anni si è assistito a un movimento che potremmo definire “sismico” riguardo alla quantità di aspetti che, nel corso di una vita lavorativa, potremmo dover affrontare in modo diverso.
La laurea? Non è indispensabile
In primo luogo, l’accesso al lavoro. Se nel percorso più tradizionale era uso affrontare un periodo di formazione per poi accedere alle posizioni più basse per “fare la gavetta”, oggi alcune aziende come Google, Apple, ma anche Hilton non richiedono obbligatoriamente ai propri candidati di avere una laurea.
Non si smette mai di studiare
D’altra parte, la formazione continua è diventata invece una necessità connaturata all’evolversi del mercato e delle competenze richieste. Che sia una formazione interna all’azienda, un corso online o anche la scelta di riprendere un percorso accademico, suggerisce Graham, non potete permettervi di restare indietro, Diversamente, è a vostro rischio e pericolo.
In movimento
Altra parola d’ordine è mobilità: non solo interna all’azienda, ma anche rispetto al vostro settore o all’area geografica. In questo senso, è interessante ricordare la visione in merito di Reid Hoffman, co-fondatore di LinkedIn, che già nel 2013 parlava di “tours of duty”, cioè la sostituzione dei contratti a tempo indeterminato con contratti di durata variabili per alcuni anni finalizzati a realizzare specifici progetti. Un modo di costruire i rapporti lavorativi che, in altre parole, rende di fatto tutti un po’ più “freelance” e quindi più responsabili della gestione della propria carriera.
Human hybrid
In parallelo, il mondo attorno a noi - anche al netto della pandemia - sta cambiando e questo sta spingendo le aziende a cercare sempre più figure ibride, cioè lavoratori in grado di trascendere il proprio ruolo, quando e come necessario, per far fronte al mutamento delle esigenze. In questo ambito è anche interessante considerare la tendenza per cui nei prossimi decenni assisteremo al crescere del numero dei ruoli che saranno svolti da computer invece che da persone. In questo senso, lavorare sulle abilità umane, sull’empatia è importante per garantirsi un ruolo legato a compiti che le macchine non potranno comunque svolgere in modo efficiente.
Sfida all'ageismo
Ultimo punto da tenere in considerazione è come stanno cambiando sia le fasi di ricollocamento sia il pensionamento. Per quanto riguarda le prime, normalmente vissute come momenti di vergogna - scrive Graham - la percezione è destinata a cambiare: in virtù di modelli organizzativi basati sui “tours of duty”, infatti, il cambio di lavoro e la necessità di riqualificarsi per affrontare il progetto successivo diventeranno un modello diffuso e accettato per la carriera di tanti professionisti.
Quanto alla pensione, questa fase è nella migliore delle ipotesi ritardata e quindi è necessario fare affidamento sulla formazione continua e l’aggiornamento per poter rimanere occupabili il più a lungo possibile. D’altra, questo non elimina il fatto che l’aumentare dell’età comporti un maggiore impatto della fatica fisica e intellettuale, così come i lavoratori, con l’avanzare dell’età, rischiano di dover fare i conti con l’ageismo dilagante.