Come riconoscere e coltivare i nostri talenti con Rita Bellati
Tutt'altro che una risorsa statica, il talento è un bacino di potenzialità da sviluppare continuamente. Servono l'ambiente giusto e la capacità di riconoscerlo (e di riconoscersi). Ne abbiamo parlato con Rita Bellati, Gallup-Certified Strengths Coach.
Nella parabola dei talenti, un padrone affida ai suoi servi una somma di denaro da investire. Alcuni riescono a farla fruttare, mentre uno la nasconde, temendo di perderla, suscitando così l’ira del padrone. Questa storia antica offre una lezione moderna: il talento, se nascosto, è sprecato.
Vale tanto per la nostra crescita professionale quanto per quella personale. Perché non parliamo di talento come una dote eccezionale riservata a pochi eletti, ma come una risorsa innata che ogni individuo possiede e può sviluppare. Ognuno ha il suo: sta a noi, come comunità, creare le condizioni perché fiorisca.
Questo cambiamento di paradigma è cruciale per le aziende che vogliono creare ambienti di lavoro produttivi e soddisfacenti. Secondo una ricerca di McKinsey, le aziende che investono nello sviluppo dei propri talenti registrano un incremento del 22% nella produttività e del 27% nei profitti.
Il percorso verso la valorizzazione del talento può iniziare da strumenti di autovalutazione come il Clifton Strengths Assessment di Gallup, che offre un linguaggio comune per identificare le predisposizioni naturali. Un linguaggio comune che in azienda può incoraggiare i feedback e la comunicazione aperta, trasformando le differenze individuali in punti di forza collettivi e migliorando le dinamiche di team oltre a quelle individuali.
La sfida è quindi duplice: da un lato, riconoscere e valorizzare i talenti dei propri dipendenti; dall'altro, promuovere un cambiamento culturale che sposti l'attenzione dalle carenze alle potenzialità. Può e deve essere fatto in tanti modi diversi: attraverso la cultura, la formazione e leadership capaci di creare un ambiente professionale umano e inclusivo.
Di talenti e di come coltivarli abbiamo parlato con Rita Bellati, Gallup-Certified Strengths Coach, che è stata fra le docenti di un master in Emotional Leadership a cui abbiamo lavorato in questi mesi.
Partiamo da te: qual è stato il suo percorso, come si scopre e coltiva il talento di allenare i talenti?
Proverò a essere sintetica perché la strada è un po’ lunga. Ho iniziato a lavorare online una decina di anni fa, in una situazione lavorativa particolare. Ero appena entrata nel mondo del lavoro, sono rimasta incinta e non mi hanno rinnovato il contratto. Mi sono ritrovata nel giro di poco tempo a dovermi chiedere: cosa farò? Inoltre, c'era anche il dubbio: cosa so fare? Ero uscita dall'università di lingue con competenze varie ma senza un focus preciso. L'unica cosa che potevo fare in quel momento era cercare online qualcosa. Mi sono imbattuta in una serie di blog americani sulla creatività, un mondo che non avevo preso in considerazione, e ho iniziato a esplorarlo.
Ho deciso di aprire un blog su creatività e fai-da-te, e questo mi ha aperto la possibilità di collaborazioni con alcune riviste come Casa Facile. Questo mi ha permesso di affinare competenze digitali e di comunicazione online. Parallelamente, mentre esercitavo la mia creatività, ho creato una linea di collane personalizzate, rappresentazioni in miniatura delle persone che le indossavano. Quel prodotto per me aveva come chiave la possibilità per le persone di vedersi e di riconoscersi, perché il processo di realizzazione richiedeva che raccontassero delle cose. È stato un prodotto che è andato molto bene, anche perché avevo iniziato a comunicarlo su Instagram. A quel tempo, era il 2015, Instagram non era così diffuso e non era molto utilizzato come strumento di comunicazione online. Le persone hanno iniziato a chiedermi di aiutarle a usare Instagram come lo stavo usando io, e in quel contesto formativo la cosa che mi interessava più di tutte era aiutare le persone a raccontare se stesse nel loro lavoro, a raccontare quali erano le loro caratteristiche specifiche, direi uniche, anche se il termine è un po' fumoso. Durante la mia formazione, lavorando da sola come autonoma, mi sono imbattuta in un corso dove tra le risorse c'era un test chiamato "test dei talenti", il Clifton Strengths Assessment. Mi incuriosisce, faccio l'assessment, mi viene restituito un report dove erano descritti i miei talenti e da lì il mio approccio al lavoro cambia completamente. Oltre a cambiare, mi offre la possibilità di avere uno strumento che io stessa potevo utilizzare con le persone per dare un contenuto a quello che chiamiamo unicità, per capire di cosa è fatta questa unicità.
Mi sono molto appassionata allo strumento e ho iniziato a utilizzarlo. Ho iniziato la formazione per diventare certificata e poi mi sono spostata nel mondo aziendale. Un mondo che perde molto senza un'indagine di questo tipo, che porta le persone ad avere una soddisfazione del loro lavoro decisamente superiore.
Quindi, secondo te, nel mondo aziendale c’è ancora tanto da fare rispetto alla scoperta e all'utilizzo di questi strumenti di autovalutazione?
Sì, e rispondo segnalando che Gallup ogni anno pubblica un report sullo stato del lavoro, e il grado di coinvolgimento dei dipendenti italiani è del 6%. Questo dato fa riflettere: la maggior parte delle persone va al lavoro solo per fare quello che deve, senza una reale realizzazione personale. Inoltre, gli assessment vengono spesso usati solo come strumenti di indagine e di introspezione, ma è importante capire come diventino strumenti di cambiamento culturale e di lavoro nei team. Questo pezzo manca spesso. Si lavora tanto sull'individuo che poi si inserisce nel team, ma manca qualcosa nei team stessi.
Questo conferma in un certo senso quella famosa frase di Einstein, che dice che il genio è 1% ispirazione e 99% lavoro. Il talento può e deve essere conosciuto, misurato, allenato. Sei d'accordo? In che misura, secondo te, il talento e le competenze sono innati e in che misura sono frutto di lavoro?
Per dirti se sono d'accordo, devo fare un chiarimento. C'è un grande fraintendimento quando si pensa al termine talento come una dote eccezionale che si manifesta in qualcosa di specifico, come lo scrittore, il calciatore, l'attore. Si pensa che il talento sia qualcosa che hanno pochi fortunati, mentre gli altri devono arrangiarsi con quello che tirano su nel tempo. In realtà, la parola talento in origine rappresentava il piatto della bilancia che pesava il metallo. Poi è diventato il metallo stesso, rappresentando un certo peso di metallo prezioso che una persona accumulava nel corso della vita. Poi, nella parabola dei talenti, il talento rappresentava una materia grezza da trasformare per essere speso. Nel tempo, il talento è diventato qualcosa di finito, portando a pensare che ci siano persone con talento e altre senza. Invece, il talento è una predisposizione innata che tutti abbiamo, una serie di materiali grezzi da poter utilizzare e trasformare con il lavoro e la conoscenza in punti di forza.
La differenza tra talento e competenze è che la competenza si impara, mentre il talento è una predisposizione naturale che riguarda il nostro modo di comportarci, sentire e pensare. E che dobbiamo far fruttare.
Molte indagini, infatti, mostrano quanto sia più redditizio formare i talenti che già si hanno in azienda piuttosto che cercarli all'esterno.
Certo. Un talento già formato costa di più e richiede tempo per integrarsi. Lavorare sui talenti interni evita sprechi di risorse e migliora l'engagement. Quando le aziende cercano talenti esterni, i dipendenti interni si sentono ignorati, minando la capacità del team di collaborare.
Parliamo delle competenze. Ci sono competenze verticali tecniche, quantificabili, e competenze trasversali, umane. In cosa si distinguono e quali considereresti più fondamentali e prioritarie da sviluppare per affrontare il mondo del lavoro in modo più efficace e soddisfacente?
Ci sono lavori dove la competenza tecnica è indispensabile e deve essere fatta in modo eccellente. Tuttavia, la crescita professionale non si basa solo sulla competenza tecnica, che è replicabile. Pensiamo alle intelligenze artificiali: le competenze tecniche possono essere svolte dalle macchine. Diverso è quando si parla di talenti. Una competenza tecnica combinata con un talento diventa unica e non sostituibile. Le due cose devono parlarsi costantemente. La formazione sui talenti è costantemente migliorabile e applicabile in vari ambiti, come relazioni, processi e comunicazione. Senza la formazione sui talenti, la competenza tecnica diventa vuota e sostituibile.
Questo discorso cambia a seconda della cultura? Ad esempio, vi sono differenze tra Italia e Stati Uniti, con i quali da sempre tu dialoghi molto?
In Italia si lavora spesso sulle lacune, con l'idea che per migliorare bisogna colmare ciò che manca. Negli Stati Uniti c'è l'idea del "se vuoi, puoi". In Italia si tende a vedere cosa manca, mentre negli Stati Uniti si valorizza ciò che c'è. Lavorare su ciò che manca porta a una sufficienza con grande dispendio di energie, mentre lavorare su ciò che si ha porta a livelli di eccellenza altissimi con soddisfazione personale. Il lavoro da fare a livello culturale è cambiare questa mentalità.
Questo potrebbe dipendere anche da una nostra minore attitudine all'autovalutazione. Come conoscere i propri talenti contribuisce al lavoro di team?
Conoscere i propri talenti e avere un linguaggio comune per nominarli migliora la comunicazione e il feedback all'interno del team. Capire che ognuno ha lenti diverse per vedere la realtà aiuta a valorizzare le differenze e a collaborare meglio, utilizzando i talenti di ciascuno per raggiungere gli obiettivi comuni. Parlarsi e darsi feedback in un modo diverso, con curiosità, migliora le dinamiche di team.
Le sfide tecnologiche, come l'intelligenza artificiale, hanno trasformato la nostra idea del talento e alcune attitudini un tempo preziose ora sono meno essenziali, mentre nuove dinamiche richiedono nuove competenze. Cosa ne pensi?
I talenti continueranno a essere utili perché sono modalità di comportamento e processi che utilizziamo. Non sapendo quali competenze saranno richieste in futuro, i nostri talenti rimarranno una risorsa fondamentale per affrontare nuove sfide. La scuola dovrebbe velocizzare alcuni cambiamenti, ma sono fiduciosa che avremo sempre i talenti necessari per adattarci. Quando arriveranno nuove professioni, avremo i nostri talenti per affrontarle. La formazione sui talenti è importante perché ci prepara ad affrontare qualsiasi cambiamento con le risorse che già possediamo.
E, per concludere, la domanda delle domande: come si riconoscono i talenti?
Ci sono vari modi, ne indicherò tre: chiedere agli altri quale contributo di valore portiamo, tenere traccia delle attività che ci soddisfano e fare un assessment come quello di Gallup, che fornisce un vocabolario per nominare i talenti e strumenti per potenziarli. Chiedere agli altri qual è il contributo che portiamo alla loro vita, al loro problema, ci aiuta a individuare i nostri talenti ed è davvero importante. Allo stesso modo, dobbiamo rivolgerci dentro di noi per tenere traccia delle attività che ci soddisfano e provare ad assegnare un punteggio alla nostra soddisfazione, al tempo che scorre, alla voglia di rifare quella cosa. Questi sono tutti indizi di talento. Infine, fare un assessment scientifico ci aiuta a nominare i talenti e a utilizzarli al meglio, liberandoci dall'idea che stiamo solo facendo complimenti a noi stessi.