Britney Spears, i media Usa fanno mea culpa: “Perché siamo stati così crudeli?”
Un documentario del New York Times sulla vita della popstar ha spinto i media americani a riflettere sul trattamento che le hanno riservato, ammettendo errori e responsabilità
Britney Spears non è una popstar qualunque, ma è una cantante che nel corso della sua carriera ha influenzato la musica statunitense nel profondo. E lo ha fatto non solo con le sue canzoni, ma anche con una vita caratterizzata da vicissitudini patrimoniali e da problemi di salute mentale che hanno attirato l'attenzione dei media fino a sfociare nella morbosità e in un giudizio sommario senza appello né pietà.
A diecimila chilometri di distanza dagli USA, è difficile rendersi conto di quanto la vita di quelli che tutti ricordiamo come una ragazzina con le trecce e lo sguardo furbo impegnata a ballare nei corridoi di una scuola (è la scena che si vede nel celeberrimo video del brano Baby One More Time ndr.) sia stata travolta da un successo che ha finito per sovrastare qualunque cosa. Ed è forse ancora più complicato comprendere come, ad anni di distanza, i media americani stiano cercando di fare ammenda, di restituire alla popstar ciò che le è stato rubato con forse troppa superficialità, aprendo un dibattito sul trattamento mediatico da lei subito e sul modo in cui televisioni e giornali hanno contribuito ad affossare la sua vita.
Dal #FreeBritney a Framing Britney Spears
Nel 2008 Britney Spears fu ricoverata in un ospedale psichiatrico a causa di una crisi nervosa. Da quel momento in poi, la cantante ha perso il controllo del suo patrimonio (che Forbes ha valutato in circa 60 milioni di dollari), affidato al padre e a un avvocato di nome Andrew Wallet tramite uno strumento legale noto come conservatorship, solitamente riservato a persone molto anziane incapaci di tutelarsi da sole da possibili frodi e truffe. “Applicato a una donna giovane e attiva - spiega il Financial Times in un articolo dedicato alla cantante - l'istituto inizia a sembrare un artificio degno di un romanzo vittoriano”.
Il conservatorship avrebbe dovuto essere temporaneo, ma in realtà a 13 anni di distanza non si è ancora concluso. Jamie Spears controlla il patrimonio della figlia, la sua carriera e la sua vita quotidiana, influenzando ogni sua scelta. Per protestare contro la tutela legale affidata a Jamie Spears, considerata ingiusta ed eccessiva, i fan di Britney Spears hanno dato vita a una campagna di sensibilizzazione, che sui social network è nota con l’hashtag #FreeBritney. Inizialmente snobbato e deriso, nel corso del tempo il movimento #FreeBritney ha assunto sempre più forza.
Il clamore mediatico su Britney Spears ha raggiunto un livello tale da spingere anche il New York Times ad occuparsi della faccenda. Ed è così che nasce Framing Britney Spears, un documentario prodotto e pubblicato su FX e Hulu dal più potente giornale statunitense che analizza le vicissitudini patrimoniali della cantante e racconta il modo in cui i media hanno trattato la popstar nel corso degli anni.
Crudeltà mediatica
In un articolo dal titolo "La nostra parte nella sua caduta", il Financial Times non usa mezzi termini, parlando di "copertura mediatica misogina". Sull’autorevole rivista The Atlantic, la giornalista Sophie Gilbert si chiede invece “Perché siamo stati così crudeli con Britney Spears? Più diventava vulnerabile, maggiore era l'interesse del pubblico nel vederla disintegrarsi e ancora più grande era la pressione mediatica su di lei”.
Per anni la popstar è stata al centro dell’attenzione dei media, che hanno raccontato in maniera sensazionalistica e pruriginosa ogni minimo dettaglio della sua vita, anche nel momento in cui i suoi problemi di salute avrebbero richiesto solo un rispettoso silenzio. Nel documentario del New York Times vengono mostrate le critiche feroci che giornali e tv tanto popolari quanto autorevoli hanno riservato alla cantante, allora 21enne, dopo la fine della sua relazione con il collega Justin Timberlake. Tra le esperienze citate figura un’intervista rilasciata da Spears alla celebre giornalista Diane Sawyer, che le pose domande sulla sua vita sessuale, accusandola duramente per aver tradito il suo ex fidanzato: “Cosa gli hai fatto, Britney?”. Le venne addirittura posta una domanda su Kendel Ehrlich, moglie dell’ex governatore del Maryland, che aveva detto che avrebbe voluto spararle perché, a causa dei suoi comportamenti e del modo in cui si vestiva, era un un cattivo esempio per le ragazzine. Domande che oggi porterebbero all’immediato licenziamento di qualunque giornalista, ma che all’epoca contribuirono ad acuire lo stress di una persona già psicologicamente fragile. "L'evoluzione dei costumi culturali riformula le narrazioni e rivela la nostra colpevolezza collettiva", scrive Mia Levitin sul Financial Times. "Che pugno nello stomaco rendermi conto che, nonostante tutte le mie credenziali femministe, non ero riuscita a vedere l'umanità della donna dietro le battute e le critiche".
Sarebbe ancora possibile?
La risposta breve è: “probabilmente no”. “Negli anni passati, grazie a Internet e allo stigma che circonda la salute mentale, le persone si dilettavano nello spettacolo delle donne - particolarmente belle e famose - che si sfaldavano in pubblico”, spiega l’Atlantic, aggiungendo che “I media americani hanno ancora molta strada da fare. Tuttavia, a conti fatti, è sorprendente come le star in crisi tendano ad essere trattate in modo diverso ora e quanto sia cambiato il tenore della copertura mediatica che circonda le donne agli occhi del pubblico”.
Complici il #MeToo, che negli Stati Uniti ha avuto effetti dirompenti, e la nuova sensibilità nata nei confronti della parità di genere da applicare ad ogni ambito della vita pubblica e privata, i media hanno radicalmente modificato il modo di affrontare gli argomenti più delicati, soprattutto se le protagoniste sono donne giovani e vulnerabili. Il trattamento riservato in passato a Britney Spears dunque, oggi, sarebbe probabilmente condannato dai media più autorevoli e non avallato con complicità. Proprio per questo motivo, forse, nelle ultime settimane giornali e televisioni sono tornate a parlare della vita della famosa popstar, facendo mea culpa e provando a fare ammenda per la copertura mediatica riservatale per quasi vent’anni.